Abbiamo visto “ Parliamo delle mie donne “ regia di Claude Lelouch.
con Johnny Hallyday, Sandrine Bonnaire, Eddy Mitchell, Irène Jacob, Pauline Lefèvre. Titolo originale: Salaud, on t’aime. Genere Commedia drammatica – Francia, 2014, durata 124 minuti. Uscita cinema giovedì 22 giugno 2017 distribuito da Altre Storie.
Quarantaquattresimo film dell’ottantenne Lolouch, giunge oggi in Italia con un ritardo di 3 anni e dopo la realizzazione di ben altre due pellicole. Un suo film in uscita è sempre un piccolo evento, anche se è da Uomini & donne – Istruzioni per l’uso che non realizza un film del tutto convincente. Ma è un regista che ha del vero talento, tipico della vecchia scuola del secolo scorso e riesce a catturare quasi sempre l’interesse dello spettatore, anche se appartiene a un pubblico più che maturo. Parliamo delle mie donne è un film su due vecchi che conservano l’istinto della gioventù, pieni ancora di quella vita che sanno godere perché conservano l’innocenza; due anziani amici per la pelle che si conoscono da sempre e che nulla li separerà. Ma è anche una storia che parla del bisogno di perdono, di riconciliazione e di famiglia, anche se questa famiglia è disastrata, piena di livore da parte di figlie che non hanno mai avuto accanto un padre. Perché Jacques, un grande fotografo di fama internazionale, ha vissuto la vita sempre come un funambolo irresponsabile, volando di paese in paese, di cuore in cuore con la leggerezza di un trapezista e l’egoismo di chi ha bisogno di vivere senza pesi, e lasciando sulla strada della vita ben cinque figlie avute da cinque donne differenti. Anche questa volta un perfetto cast d’attori in stato di grazia e la solita ottima regia d’autore alla francese, però risulta un po’ irritante per come il regista intenda la vita e per come ce la rappresenta attraverso la mdp ( in questo caso c’è anche una colonna sonora troppo dichiarata e plateale, come risulta un po’ ridondante il pensiero che hanno le figlie del padre: bastardo, ti vogliamo bene; dove c’è nella prima parola tutta la rabbia inespressa e nella seconda parte lo svelamento di un dolore: donne che però mentre detestano la figura del padre hanno invece degli ottimi rapporti con gli uomini ).
Il talento di Claude Lelouch come regista è innegabile, come il raccontare lo spirito di famiglia allargata e borghese in cui traspare con eleganza un calore genuino, riuscendo a trascrivere con naturalezza i rapporti umani. Aiutato in questo anche da un magnifico scenario naturale ai piedi del Monte Bianco francese e dall’interno di un lussuoso chalet di montagna. Ma a volte non tutto quello che appare risulta sincero e naturale, in alcune scene ricade in una specie di mulino bianco o in uno spot turistico; e anche alcuni dialoghi che scivolano bene sui volti di Hallyday, della Bonnaire e di Mitchell sono quasi previsti, prevedibili ed evidenziato un lirismo poco lirico. Johnny Hallyday regge bene il suo ruolo anche se sembra che rappresenti se stesso e la sua vita e qualche volta va troppo a ruota libera tanto da perdere di credibilità, Sandrine Bonnaire è al solito molto brava e credibile, anche se qualche sorriso in meno non avrebbe guastato, molto efficace per naturalezza, Eddy Mitchell. Un peccato per la brava Irène Jacob che risulta quasi trasparente e la si ricorda solo perché viene detto varie volte nel film che ha scritto un libro sul padre, distruggendolo. Una menzione spetta al piccolissimo ma efficace ruolo di Valérie Kaprisky, la quinta figlia cubana, che conferma il suo talento qui purtroppo limitato.
Jacques Kaminsky ( Johny Hallyday ), è un fotografo di guerra settantenne, di fama internazionale ( da giovane è stato a Cuba a ritrarre Castro dopo la baia dei Porci, per poi volare in Algeria ), la sua vita è stata solo sua e quindi è stato un padre assente per le sue quattro figlie chiamate Primavera, Estate, Autunno e Inverno, avute con quattro donne differenti e a distanza di sette anni l’una dall’altra. Adesso lui è un uomo stanco di Parigi e forse di un modo di vivere, si trasferisce da solo in uno chalet lontano dal mondo a Praz-sur-Arly, ai piedi del Monte Bianco, e facendo così lascia la sua ultima moglie che non vuole rinunciare a Parigi. La sua intenzione è di rallentare con la vita di sempre e trascorrere una lunga pausa dal lavoro ( la scelta di fotografare per una mostra pacifiche mucche e non più guerre ne è un esempio ), sente di essere arrivato a un momento della vita in cui deve per l’ultima volta risolvere il rapporto con le figlie. Appena si stabilisce nello chalet inizia una relazione amorosa con l’agente immobiliare che glielo ha venduto ( Sandrine Bonnaire ), una vedova simpatica, ancora ferita della perdita del suo compagno. Ma per Jacques è riconciliarsi con le sue figlie il desiderio reale, difficile da attuare e che lo fa soffrire, perché le quattro donne provano un senso di profonda rabbia per non aver mai vissuto col lui e anche perché tra loro non c’è una particolare simpatia. Jacques le chiama in continuazione per invitarle nella nuova casa ma loro rispondono alle chiamate con distacco se non con freddezza. Nello chalet giunge il suo più caro amico e medico personale, Frédéric ( Eddy Mitchell ) con la famiglia, comprende da subito la sofferenza dell’amico e con un’iniziativa, solo in parte irrazionale, avvisa le 4 ragazze che il padre sta per morire e le quattro sorelle si precipitano allo chalet per un fine settimana, la più piccola giunge in autostop, un’altra con il fidanzato, un’altra in elicottero con la nipotina. Questa menzogna porterà Jacques ad avere per la prima volta tutte le figlie assieme e a trascorrere con loro un paio di giorni in cui però, al di là dei sorrisi e dei baci sulle guance, emerge tutto il risentimento che queste figlie provano per il padre, ma…