Quest’anno il Premio Nobel per la Letteratura è finito nelle mani dell’outsider per eccellenza: Patrick Modiano. Tanti saluti a Philip Roth, che questo premio lo aspetta (insieme ai suoi fan) da una vita – un po’ come Leonardo Di Caprio spera che arrivi il primo Oscar, – alla rediviva Joyce Carol Oates, vedova nera dalla bibliografia macabra e sterminata, e al fenomeno di culto giapponese Haruki Murakami, battuto inesorabilmente ancora una volta.

Patrick Modiano, classe 1945, è quindi il quindicesimo scrittore francese della storia ad aggiudicarsi l’agognato premio e questo Nobel l’ha vinto a modo suo, facendosi strada con la sua proverbiale discrezione e la sua penna vellutata e intangibile tra le star della letteratura mondiale, completando senza eccessi un pedigree di tutto rispetto dopo la vittoria del prestigioso Prix de l’Académie Française e del Prix Goncourt.
Come nel piccolo gioiello del cantautore Vincent Delerm, Le baiser Modiano (Il bacio Modiano), in cui una tessitura sonora morbida e complice ci parla di un bacio tra due innamorati e di un’ombra pizzicata con la coda dell’occhio, praticamente invisibile, che assomiglia alla sagoma dello scrittore, così nei romanzi di Modiano il vero protagonista è l’ombra di un ricordo, di un dettaglio impercettibile, la tessera di un puzzle della memoria da inserire nel posto giusto.
Le sue storie sono dei percorsi di formazione all’inverso, talvolta dei gialli i cui indizi si trovano nella mente dei protagonisti, storie di decostruzioni e ricomposizioni. E sullo sfondo, le ossessioni dell’Occupazione nazista, i non-quartieri di una Parigi sconosciuta e lontana popolata da personaggi eccentrici in bilico tra finzione e realtà.

Per Modiano “ogni libro è un tentativo fallito di recuperare la memoria” – come disse l’autore in un’intervista al settimanale Les Inrockuptibles – ed è per questo che l’opera romanzesca dello scrittore francese riesce ad essere così coerente. Dal suo primo libro, La Place de l’Etoile, al suo ultimo romanzo – appena pubblicato per i tipi di Gallimard – Pour que tu ne te perd pas dans le quartier, è questione di uomini, di uomini soli con loro stessi e con i propri ricordi, di labirinti, di strade intricate, di smarrimenti. È questione di passato, di rattoppare la memoria dell’infanzia per ritrovare la strada. “Je ne puis pas donner la réalité des faits, je n’en puis présenter que l’ombre” (Non posso dare la realtà dei fatti, posso presentarne solo l’ombra”, recita la citazione di Stendhal che apre quest’ultimo manuale di sopravvivenza della memoria. Una citazione, a dire il vero, che vale l’intera opera di Modiano.

In Italia, in cui agli scrittori europei preferiamo spesso quelli americani, di Modiano se ne parla poco. Forse troppo poco. Sui social network si discute più della marca dei mazzi di carte, che dell’autore di Rue des Boutiques Obscures – il romanzo che gli è valso il Prix Goncourt, riconoscimento francese che corrisponde al nostro Premio Strega – e sono in molti a trattarlo come uno sconosciuto o a chiedersi perché ne abbiano sentito parlare solo oggi per la prima volta. In ogni caso, l’importante è che se parli, anche se l’hashtag #Modiano è seguito da #uominieDonne. Per una volta sono dietro. Onore quindi alle case editrici italiane Einaudi, Guanda e Lantana, che hanno pubblicato alcuni dei testi più belli pescati all’interno della sua bibliografia sterminata. Onore a chi ha scommesso su di lui, a chi non ha paura di sacrificare una trama concreta e tangibile all'”archeologo della memoria”. Se così non fosse stato, probabilmente nessuno si ricorderebbe di Marcel Proust.
Vedere uno scrittore europeo vincere un Nobel all’epoca della globalizzazione fa uno strano effetto. Non si sa perché, ma come nelle rassegne cinematografiche, ci aspettiamo che tocchi al poeta siriano Adonis, allo scrittore e poeta keniano Ngugi wa Thiong’o oppure al coreano o al giapponese di turno. Pensiamo che lo meritino loro più di noi, forse perché ammettiamo inconsciamente di aver detto già tutto in Europa, che, nonostante tutto, non ci siano più né lo spazio né i talenti per scrivere qualcosa di diverso. È inutile negarlo: i premi Nobel di Le Clézio (nel 2008) prima e di Modiano oggi ci sembrano ben poca cosa rispetto a quelli di André Gide, Albert Camus o Jean-Paul Sartre, visto che oramai la percezione di essere alla periferia del mondo ci attanaglia come il virus dell’influenza fa con le articolazioni.
Anche per questo motivo, un Nobel come quello di quest’anno può diventare un prezioso strumento di conoscenza o di riscoperta, una guida d’eccezione ai tesori perduti o dimenticati della nostra letteratura, una lente d’ingrandimento per quegli scrittori ancora in vita che stanno facendo la storia della letteratura e che come Patrick Modiano, come quell’ombra disegnata dalle note di Vincent Delerm, restano ai margini della scena. Persi nella costante e logorante ricerca di loro stessi.

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