Di Freud oggi sappiamo tantissimo, ogni suo oggetto, lettera, testo, incontro è stato studiato e interpretato. Alla Biblioteca del Congresso, sono ora consultabili tutte le sue carte: ci sono le opere, l’elenco e gli appunti dei libri letti, l’enorme epistolario. Durante la sua esistenza Freud conserva un senso ben preciso di quanto fosse possibile mostrare in pubblico e quanto si dovesse mantenere privato. È forte la sua preoccupazione che gli aspetti intimi, i “tristi segreti”, potessero esser utilizzati contro di lui. Nella sua Autobiografia, malato, convinto di essere prossimo alla fine, dopo la diagnosi di cancro alla mandibola, nel 1924, Freud propone «una nuova combinazione di elementi oggettivi e soggettivi», anche se, scrive, «il pubblico non ha diritto di saperne di più», «né dei miei rapporti personali, né delle mie battaglie, né delle mie delusioni, né dei miei successi». Quello che prevale è il Freud che distrugge le lettere alla fidanzata, che dice «ho parlato di me stesso più del consueto o più del necessario», perché «tutte le mie personali esperienze non hanno alcun interesse se paragonate ai miei rapporti con questa scienza». Il segno e lo stigma della sua vita sono affidati a queste righe: «Anzitutto mi feriva l’idea che per il fatto di essere ebreo dovessi sentirmi inferiore e straniero rispetto agli altri».

La sua idea di terapeuta era quella di un analista neutrale, eppure il suo studio era stracolmo di immagini, oggetti, riproduzioni, quadri, tappeti e mobili. Una casa museo, dove era circondato da tutto quello che serviva al suo lavoro, ma anche al suo spirito. Chi arrivava non ci poteva credere: figure archeologiche egiziane, greche, romane, cinesi. Un’atmosfera onirica. Un insieme particolare di casa e studio, di intimità e formalità: un po’ come accade durante un’analisi.

Freud studioso e collezionista continua a incuriosire, Freud teorico e clinico continua a interrogare. Il rapporto tra parole e immagini, come nella mostra parigina di qualche mese fa, Freud. Du regard à l’écoute (curata da Jean Clair, catalogo Gallimard), apre nuove prospettive sulla genesi delle sue scoperte.

A ottant’anni dalla sua morte, i versi scritti da Auden In memoria di Sigmund Freud, settembre 1939, “se spesso sbagliava e a volte era assurdo, per noi non è più una persona, ormai, ma tutta un’atmosfera di opinione”, dicono bene i numerosi motivi per cui ha senso chiedersi: Perché Freud è ancora necessario?

 

Stile e forma in Freud

Pietro Barbetta

 

Freud è un tipo d’intellettuale raro, scomparso. Medico, filosofo, studioso di letterature e mitologie, antropologo, viaggiatore curioso, cosmopolita, ebreo. Per l’ultima delle sue qualità, l’essere ebreo, i suoi concittadini e colleghi lo hanno denigrato. Poi, dopo l’annessione, hanno cercato di farlo sparire con altri sei milioni di correligionari. Per le altre qualità elencate, è difficile trovare qualcuno che le riassuma in una sola persona.

Si conoscono le sue straordinarie doti di scrittore, i suoi casi clinici sono vere e proprie opere letterarie. I suoi denigratori sostengono che sono senza successo. Meno male, questa è la prima ragione della necessità di Freud oggi. In un tempo dove la competizione esasperata costringe i giovani a distrarsi dalle loro passioni per inseguire una carriera fatta di impact factor, è bene dubitare del successo. Ai giovani, Freud ha da insegnare lo stile, la necessità di istoriare l’esperienza, di mantenere la memoria.

 

 

Ma c’è un’altra questione che rende Freud ancora più necessario: l’Edipo. Non il ridicolo triangolino mamma-papà-figlio. Mi riferisco a Sofocle, alla forma della tragedia, che anticipa la forma dell’inconscio. La tragedia incomincia quando tutto è già accaduto. Un re buono, illuminato, razionale, che ha sempre governato in modo saggio, si scopre criminale parricida, costretto a contrarre un matrimonio proibito e ad avere figli immondi. Il lato osceno della nostra esistenza. L’esistenza che si nasconde, come la bella Sulamita, seduta all’ombra di colui che aveva desiderato.

 

Pietro Barbetta, psicoterapeuta, è direttore del Centro milanese di terapia della famiglia e insegna Teorie psicodinamiche all’Università degli Studi di Bergamo.

 

Cura e scienze della psiche

Anna Ferruta

Il pensiero di Freud ‘necessario’ nell’attualità del nostro tempo riguarda due dimensioni fondamentali.

Una è l’interesse per l’esplorazione dell’ignoto, di ciò che ancora non si conosce, a costo di violare convinzioni ritenute acquisite una volta per tutte, allo scopo di integrare nuovi orizzonti di libertà e acquisire risorse nella concezione del soggetto umano. Freud ha cercato di comprendere l’intreccio tra psiche e soma, tra io e altro, tra ideologia e soggettività, seguendo le tracce dei grandi scienziati che lo avevano preceduto (Copernico, Darwin). Il suo modo di intendere il funzionamento psichico affonda le radici nell’inconscio e nel sogno, nel mondo interno del bambino abitato da fantasie e pulsioni sessuali (il piccolo Hans), nella psicopatologia (il delirio paranoico di Schreber) ed è presente in tutta la cultura e la vita sociale del nostro tempo. Un’analisi scientifica del vivente è un compito complesso e ambizioso, richiede passione e coraggio.

 

L’altra dimensione riguarda il metodo: Freud è convinto dell’inscindibile legame tra terapia e conoscenza. La specificità ‘scientifica’ freudiana consiste nel raccogliere dati ed esperienze esponendosi alle relazioni con l’altro. Ha inaugurato un metodo di ascolto di ciò che è oscurato, zittito, taciuto, rimosso, confinato in territori marginali della mente umana (sogno, lapsus, atto mancato, sintomo, delirio).

La com-passione come conoscenza dell’Altro, come veicolo di identificazione e di riconoscimento dell’ineliminabile alterità dell’altro, simile e inconoscibile: una sufficiente condivisione che amplia ciò che costituisce la base di comunicazione e costituzione dei soggetti umani.

Si vanno moltiplicando studi sulle forme di comunicazione emotiva tra chi prova un dolore e chi vi assiste come testimone partecipe, che può sentire il dolore dell’altro pur rimanendo se stesso, potendo quindi comprendere, soccorrere, consolare.

In psicoanalisi il nesso cura-conoscenza è strutturale: il buon funzionamento dello psichesoma consente di legare e slegare continuamente nessi relazionali, affetti, significati, in un incessante lavoro di trasformazione contenitore-contenuto, proprio come avviene nel sogno.

 

Anna Ferruta, psicoanalista, con funzioni di training della SPI e dell’IPA, già Segretario Scientifico del Centro Milanese di Psicoanalisi e Segretario Scientifico Nazionale della SPI.  

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