Abbiamo visto Polisse regia di Maiwenn Le Besco.
Raccontare di pedofilia senza traumatizzare lo spettatore è cosa difficile; descrivere una squadra incaricata solo di violenze sui minori senza renderli degli eroi e senza farli risultare dei piccoli Freud dall’umanità espansa è ancora più arduo; inserire in tutto questo una storia d’amore (‘autoreferenziale’ – i due sono la regista-attrice Maiwenn Le Besco e il suo ex Joey Starr, dj, attore e compositore di musiche per film) in fondo glamour e di tendenza diventa quasi presuntuoso. Come deve essere un po’ troppo sicura di sé, questa giovane regista di 35 anni, molto bella, sin da piccolissima nel mondo dello spettacolo e della moda, ex compagna di Luc Besson da cui ha avuto una figlia che ora ha 19 anni, attrice di molto teatro impegnato, regista di già tre film e moglie del businessman Jean Ives Le Fur. Ha sicuramente talento, ha scelto un cast quasi perfetto, gira con bravura e sicurezza anche se questo film ricorda per l’impostazione della sceneggiatura, l’idea di regia e per l’ottimo montaggio un po’ troppo alcuni film francesi come Legge 627 del 1992 diretto dal dimenticato Bertrand Tavernier o La Classe – tra le mura di Laurent Cantet del 2008. Qualche critico ha aggiunto che “Ma più che trarre ispirazione da queste pellicole, sembra copiarle”. Forse niente di male, forse si può dire che al pubblico piacerà molto per il tono e il ritmo serrato, ma nel momento in cui Cannes dà il Premio della giuria ad un film sostanzialmente che resta in superficie, non innovativo e dal pilot per una serie televisiva di successo, allora dobbiamo essere recensori fino in fondo.
Perché a un pubblico televisizzato e poco colto i difetti di questo film possono risultare dei pregi, come la leggerezza con cui vengono trattati argomenti scabrosi, le tante storie e sottostorie compresse nella struttura ad episodi che si intersecano senza un motivo drammaturgico preciso, come il personaggio interpretato dal nostro Riccardo Scamarcio, fatuo e glamour senza alcuna sostanza, come alcune scene corali, citiamo quella della discoteca per festeggiare la salvezza di un neonato maltrattato, e con un finale brusco in totale distonia con il resto della storia.
Il lavoro e la routine quotidiana della squadra parigina dell’Unità di Protezione dell’Infanzia è difficile, coinvolgente e stressante, il gruppo riesce a sopportare tutto questo ‘stress’ grazie al forte spirito di gruppo e alla solidarietà. Ma ciò nonostante quasi tutti hanno delle vite private rovinate o al limite, anche per la durezza di questa vita. Il loro lavoro viene ‘fotografato’ sin dall’inizio da una reporter che viene calata dall’alto e vive con il gruppo le varie inchieste, corse, interrogatori e festicciole varie. Balloo (un ottimo Frédéric Pierrot – lo abbiamo visto ultimamente nel La chiave di Sara) è il capo di questa squadra, un uomo giusto, coerente, affidabile ma che inizia ad essere stanco di un capo opportunista e ‘politico’ nelle scelte e del fatto che la sua unità venga ritenuta dalle altre unità, minore. Il gruppo è composto da Nadine (Karine Viad) una donna fragile nel privato che aiutata da una collega prende il coraggio di lasciare il marito per poi pentirsene. Iris (Marina Fois), la dura del gruppo, diventata un’anafettiva, forse per un figlio che vuole e non riesce ad avere e per cui perde il marito che la pianta stanco delle sue pressioni. C’è Fred (Joey Star), un uomo che crede molto nella sua missione, salvare i bambini, coraggioso e un po’ stanco della vita che continua ad avere un rapporto al limite con la moglie e che inizierà una storia d’amore con Melissa, la fotografa, sposata con un uomo che abita nella casa di fronte e che è “contento” se la moglie ha altre storie senza tuttavia spiegarci il motivo. E poi c’è il buon Mathieu, l’innamorata Chrys, la simpatica e poco carismatica Sue Ellen e molti altri. Tutti loro saranno impegnati nel salvare una bambina dalle attenzioni morbose di un padre borghese e potente, un bimbetto di otto anni da un insegnante di educazione fisica, una neonata da una madre tossica e povera, dei ragazzini portati da malavitosi zingari ad uno scambio di diamanti in un centro commerciale e altre storie tenute sullo sfondo.
La regia è molto abile e compatta, la sceneggiatura coerente ma troppo abbondante di personaggi e storie da poter essere contenuta in un film di due ore, ottimo il montaggio e buona la colonna sonora. Segnaliamo il cast formato da tutti attori convincenti che ben si amalgamano tra loro.