Abbiamo visto “ Qualcosa nell’aria – Après mai “ regia di Olivier Assayas.
Negli Anni Ottanta in Francia sono emersi alcuni registi di puro talento e possiamo dire alla ricerca di innovazione stilistica e di nuovi linguaggi. Registi che hanno fatto parlare di una nuova Vague, anche se le loro ricerche non facevano ‘ scuola ‘ nè avevano unità di intenti. Artisti che però in qualche modo hanno perso in alcuni casi lucidità e splendore. Con Jean-Jacques Beineix ( “ Diva “, “ Betty Blue “ ), Leos Carax ( “ Rosso sangue “, “ Les amants du Pont-Neuf “ ), Luc Besson ( “ Subway “, “ Nikita “, “ Leon “ ), Jean-Pierre Jeunet ( “ Delicatessen “, “ Amelie “) c’è sicuramente Olivier Assayas ( “ Disordine “ – 1986, “ Contro il destino “ – 1991 ). Il più ‘ politico ‘ di questi autori, di spessore, con alcuni film importanti ma anche con una carriera un po’ altalenante e non sempre progressiva.
Adesso, dopo la miniserie tv su “ Carlos “ ( il terrorista internazionale marxista venezuelano, da anni in prigione in Francia ) realizza questo film sul post Maggio ’68, con giovani studenti liceali che vivono un tempo molto diverso dal nostro. Ma sono anche un po’ differenti dai giovani ‘ normali ‘ e rivoluzionari dell’epoca, perché se leggono un libro è sicuramente di Debord dell’internazionale situazionista, se hanno un libro di Cinema sul tavolo allora è scritto dal critico dei Cahiers, Andrè Bazin, se hanno un professore questi gli parla di Sant’Agostino e di Max Stirner collegandolo all’Ideologia Tedesca di Karl Marx, se cercano un lavoro il padre li fa lavorare in un film televisivo del commissario Maigret, se decidono di fare un viaggio, allora vanno a Kabul… E poi ci sono i ragazzi che entrano in clandestinità e quelli che si fanno d’eroina e le ragazze che semplicemente decidono di abortire ad Amsterdam e subito dopo passano ad Harlem per vedere due quadri fiamminghi in un piccolo museo. E i loro sogni sono, oltre la rivoluzione, fare i pittori, i registi militanti, le danzatrici classiche, ma tutto con la leggerezza dell’età e così anche le loro storie d’amore: iniziano per caso e terminano al primo desiderio di partire chi per gli States e chi per Reggio Calabria ( perché per quei francesi “ I boia chi mola “ fascisti sono comunque una rivolta popolare da conoscere e filmare ). Il tutto è reale ma è anche troppo condensato e ‘ dato per dato ‘, anche un po’ troppo parziale nel racconto autobiografico, perché Assayas racconta tutto se stesso e tutta la sua idea di cinema: il protagonista Gilles è il suo alter ego, anche lui nei primi Anni ‘70 è un liceale legato ai movimenti trotskisti di Lutte Ouvrière e della Ligue, vende i giornali fuori scuola, fa gli scontri con la polizia, scrive di notte sui muri della scuola e lancia molotov contro i ‘ fascisti ‘. Come Gilles, ha un padre che firma fiction televisive e che tratta un po’ duramente, desidera diventare un pittore e viaggia per l’Europa per evitare che la polizia francese indaghi su di lui. Ma il ‘ 68 ‘ nel 1971 inizia a perdere colpi e illusioni e il regista fa in modo che quegli anni siano gli ultimi mesi del liceo, mentre l’estate è il riflusso e la ricerca di sé e del futuro. Per fortuna che nel finale non c’è né il rammarico né la malinconia di un quasi fallimento, infatti non siamo in un film come “ The Dreamers “ di Bertolucci né tantomeno in “ Les amants reguliers “ di Philippe Garrel, ancora meno nel bello, nostalgico e malinconico “ Come eravamo “ di Sidney Pollack. Anzi compare d’un tratto l’ironia, con Gilles che rinuncia quasi ai suoi sogni di pittore per divertirsi come tuttofare in un film di fantascienza in cui ci sono nazisti, draghi e astronavi. Un film che scorre con leggerezza, diviso quasi in due parti diverse, ma forse senza empatia e identificazione, derivato anche dalla scelta di un cast non del tutto professionale in alcuni ruoli e nei visi quasi evanescenti e dimenticabili: Clement Metayer ( Gilles ), Lola Creton ( Christine ), Felix Armand ( Alain ), Carole Combes ( Laure ), India Menuez ( Leslie ).
Siamo nella Parigi dei primi anni Settanta, Gilles è un liceale all’ultimo anno e pratica con naturalezza e senza alcun gesto irruente la militanza rivoluzionaria pur sentendo delle contraddizione tra l’impegno politico militante nei collettivi e il bisogno di creatività e indivualismo sia nella vita ma soprattutto nell’arte. La sua ragazza Laure – che lui ama – lo lascia per andare a vivere a Londra e seguire la sua strada sbandata, Gilles sembra rimanerci male ma subito dopo trova una nuova compagna Christine e con lei va in Italia con alcuni amici un po’ per tirarsi fuori dalla militanza che sta diventando anche militare e per sfuggire alle indagini sul ferimento di un vigilante. Ma lui in fondo è uno ‘ quadrato ‘, uno che cadrà sempre in piedi; torna a Parigi da solo, si iscrive all’Accademia di Belle Arti e nonostante possa intraprendere una carriera di pittore e grafico per copertine di dischi in vinile si fa in lui sempre più concreta la voglia di fare cinema ma non quello strettamente militante dei suoi amici, in cui si racconta dei contadini laotiani o degli operai in sciopero. L’unica malinconia per chi vede questo film è solo quella – se si fa un confronto – tra quegli anni e i nostri e provare una qualche invidia per la vivacità culturale del periodo, per sentire quegli anni briosi, fatti comunque di speranze e futuro prossimo. Anche la scelta stilistica volutamente convenzionale sembra una scelta ‘ autobiografica ‘ e per giocare con lo spettatore Assayas fa dire nella prima scena al professore che parla di Sant’Agostino ” Non badate alla forma, so che è d’altri tempi: mi direte voi cosa evoca in termini di attualità “.