Abbiamo visto “ Quasi amici “ ( Entouchables ) regia di Eric Toledano e Olivier Nakache.
Toledano e Nakache sono due umoristi, sceneggiatori e registi quarantenni che hanno avuto molto successo di pubblico in Francia. Questo è il loro quarto film ed è anche il primo che giunge in Italia, dopo un successo al botteghino quasi impensabile. Forse perché racconta ( in modo molto fantasioso, comunque ) una realtà a cui i francesi piacerebbe identificarsi, immaginare possibile, dimenticando razzismo strisciante, problemi delle banlieue, dei san papier e via ricordando. Cosa c’è di meglio allora ( e più improbabile ) di mettere assieme un ricco signore borghese, colto e raffinato, paraplegico e depresso e un giovane noir senegalese della periferia appena uscito dal carcere dopo una rapina, semianalfabeta e irritante ? Presentare i due caratteri e sorridere e ridere nel blando scontro tra classi sociali, generazioni differenti e opposti background culturali ? E’ evidente che con due persone agli antipodi in tutti i sensi è facile costruire gag e battute, ma in questo film sembra che la storia sia in funzione delle battute e non viceversa facendole perdere in credibilità e coerenza. Insomma, niente di nuovo in questo tipo di conoscenza; dapprima un po’ conflittuale e poi man mano sempre più armoniosa e complice, fino a che le solitudini dei due uomini entrano in contatto e si trasformano in solidarietà concreta e propositiva. Una nota a merito comunque ( oltre alla magnifica colonna sonora alla Philip Glass del nostro Einaudi – grande musicista con influenze jazz e che in Italia conosciamo poco ) è il tentativo riuscito di evitare qualsiasi forma di pietismo, grazie anche a una interpretazione magistrale del bravo François Cluzet e del resto del cast armonioso e ‘ leggero ‘ allo stesso tempo.
Tratto ( crediamo molto liberamente ) dal libro autobiografico di Philippe Pozzo di Borgo “ Il diavolo custode “ pubblicato in Italia dalla casa editrice Ponte alle Grazie, l’autore ripercorre la sua vita ricca e felice fino a quando nel 1993 un incidente di parapendio lo paralizza dal collo in giù. Tre anni dopo muore anche Béatrice, la sua amata compagna di sempre, per una rara malattia e Philippe si trova nella necessità di cercarsi un nuovo « assistente » che lo segua giorno e notte, dal risveglio alla sera e qualche volta anche di notte quando è assalito da crisi respiratorie. Ecco, il film inizia adesso. Quando si presentano, nella villa ottocentesca in pieno centro parigino, alcuni possibili assistenti. Tra loro c’è Driss, un giovane senegalese ignorante, aggressivo, bullo che non vuole il posto ma solo una lettera in cui si dica che non è stato assunto perché così può avere il sussidio di disoccupazione. Ma incredibilmente – in forma troppo romanzata e al servizio di qualche risata preparata se non prevedibile – Philippe lo fa assumere. Driss, come è facile intuire, non è solo chiacchiere a voce alta e atteggiamento coatto-spavaldo, è un giovane uscito appena dal carcere, è senza genitori e vive ospite a casa della zia-mamma che tuttavia lo caccia. E allora accetta il lavoro e va a vivere nel palazzo di Philippe iniziando una serie di battibecchi e piccoli conflitti con il povero tetraplegico che invece di stancarsi sembra contento di quella vitalità e del carattere sfrontato e naif del giovane. Ma la sua mancanza di minimo tatto si riverbera anche sulle due segretarie ( Anne Le Ny, anzianotta e simpatica, e Audrey Fleurot, giovane, carina e ironica ) e in modo positivo sulla figlia viziata e il suo fidanzatino maleducato e pauroso. E l’amicizia che si crea tra i due uomini migliora entrambi nel carattere e li pone con uno sguardo positivo al futuro apparentemente complicato e difficile, Nel film sfiorano anche la ‘ trasgressione ‘, con relativi spinelli, massaggiatrici, rimorchio di una donna attraverso lettere d’amore, vendita di un quadro fatto da Driss e rifilato da Philippe ad un parente un po’ grullo, una corsa a centottanta all’ora con inseguimento della polizia, fino al battesimo di Driss con il parapendio. Insomma un film che parte da un dramma reale e si sviluppa (anche se con un certo stile ) in modo superficiale, prevedibile e autoassolutorio, la cui unica vera ragione d’essere è quella di raccontare una commedia ‘ divertente ‘ e con molte battute che a volte fanno ridere. Ma a volte sono fuori registro come quando Driss – ignorante e proletario – fa battute d’adolescente studioso su Leonardo ( l’artista e il calciatore ) o quando cita Chagall e i suoi colori.
I due registi hanno realizzato un film sociologicamente tra i più ottimisti in circolazione sulle tensioni sociali e i conflitti di classe che attraversano la Francia e l’Europa di oggi. Mescolano
alto e basso ( una colonna sonora elegantissima sempre, con battute da soap ); chissà se volontariamente o perché inseguivano battute per far ridere propongono una ‘ favola ‘ del vivere ottimista, semplice e autentica come ricetta del vivere.
Da segnalare, come abbiamo già scritto, l’ottima interpretazione di François Cluzet, credibile e originale. Dris è interpretato da Omar Sy, una specie di Eddy Murphy francese, simpatico e eccessivo che in alcuni passaggi può risultare tuttavia irritante. Gli Oscar 2012