Abbiamo visto “Re della terra selvaggia“ (Beasts of the Southern Wild) diretto da Benh Zeitlin.
Il film che ha ottenuto il maggior numero di premi nel 2012 ( Dal Gran premio della Giuria al Sundance Festival, alla Camera D’Oro al Festival di Cannes ) e che è candidato a ben quattro Oscar ( tra cui Miglior Film e Miglior Regia ) giunge finalmente in Italia. La stampa americana lo ha definito film rivelazione e il pubblico ha riempito le sale di mezzo mondo, in Francia è uscito come film di Natale con ottimi risultati di botteghino e di critica. Un debutto ‘ fantastico ‘ per questo giovane regista americano che ha trent’anni, ha realizzato un film con appena un milione e seicentomila dollari ( briciole per gli Usa ed anche per l’Europa ), utilizzato attori non professionisti e la cui esperienza precedente sono solo tre documentari ( il suo ultimo docu “ Glory at Sea “ del 2008 potete vederlo su Internet ).
Zeitlin è riuscito a realizzare un film con un’energia pura, libera e struggente che ci riconcilia con il Cinema sempre meno arioso, più convenzionale e con minore voglia di rischiare ( pensiamo ai due film che sono in testa ai botteghini in quasi tutto il mondo il ‘ fesso ‘ e vanesio “ Django “ e “ Lincoln “ dell’ormai spento Spielberg ). “ Re delle terre selvagge “ è un film in controtendenza, originale e quindi dalle soluzioni visive e narrative imprevedibili, una specie di neorealismo coerente anche nei suoi momenti poetici e fantastici ( come le bambine che si avviano a nuoto nel mare aperto ); ed anche nelle simbologie – che non sono sempre del tutto chiare – ( dal disgelo apocalittico ai preistorici uri con le zanne a baionetta che ritornano tra le intemperie del mondo e che sul finale si identificano nella sofferenza degli ultimi della terra che non hanno colpe per lo sfacelo in cui si sta sprofondando ) si riesce a trovare grazie al ‘ fantasy utopico ‘ una coerenza e una semplicità di fondo e un’identificazione con persone così lontane da noi.
Siamo al termine del mondo, nelle paludi della Louisiana, in una zona chiamata la Grande Vasca ( per gli allagamenti che avvengono quando giungono i cicloni ), tra vecchi ubriaconi, donne sfatte, pescatori e gente che vive la vita come un’intemperia costante. C’è una bambina di cinque anni, Hushpuppy ( una splendida Quvenzhané Wallis, candidata all’Oscar come migliore attrice ) che vive in una specie di casa-baracca accanto a quella del padre in una landa abbandonata, quasi una discarica a cielo aperto; la mamma se ne è andata molto presto scappando da quel mondo selvaggio senza speranze e forse è finita in qualche bordello non troppo lontano. La bambina cerca di sopravvivere prendendo quello che può dal padre, un tipo non molto rassicurante, mentre apprende dalla maestra e dagli adulti della zona le regole per sopravvivere nella palude. Ma Hushpuppy mischia la vita di tutti i giorni con il suo mondo fantastico; gli animali che vivono con lei, cani, maiali, galline, alligatori, i pesci gatto con le bestie del passato, i terribili Auroch che la sua maestra ha tatuato sulle gambe, proto-tori estinti nel 1627, che immagina ritornati vivi dai grandi ghiacci del Polo a causa dell’uragano e in corsa imperterriti verso la palude.
Padre e figlia a loro modo si vogliono bene, come possono farlo una bambina che ha solo il padre a questo mondo e un padre dal carattere fuori controllo, irruente, individualista e con una malattia grave che lo delibilita e lo fa svenire. L’uomo sa di dover morire e vuole preparare la figlia a caversela senza di lui; a questo si aggiunge che sta per arrivare l’ennesimo uragano, ancora più spaventoso di altri: potrebbe lasciarsi andare, farsi ricoverare in ospedale e lasciare la figlia all’assistenza statale, accettando così l’ineluttabilità delle cose, invece preferisce restare libero fin che può e mentre molti nella zona si allontanano lui e pochi altri resistono nei tuguri in cui vivono. E per dimostrare coraggio alla natura inclemente è capace di sparare contro l’uragano che sopraggiunge. In realtà l’uomo vuole solo che sua figlia Hushpuppy possa restare in quei luoghi e diventare ‘ re delle terre selvagge ‘ prima che la morte se lo porti via. Fargli da testimone ed erede in quella lotta per la sopravvivenza e nel restare liberi resisitendo alla normalità della società occidentale.
Film molto ambizioso e in alcuni passaggi non completamente risolto ma con una regia sicura e creativa, grazie anche ad una sceneggiatura che non scivola nella ricostruzione di fatti veramente accaduti ( Uragano Katrina ) e che riesce a bilanciare realtà, uno scenario fantastico e la mente visionaria di una bambina di cinque anni. La scelta degli attori non professionisti è eccellente e straordinaria, sa di miracoloso: dal padre ( un panettiere di quelle zone ) alla bambina, perfetta in tutti i suoi passaggi emotivi e psicologici: sembra veramente cresciuta con l’idea che non si deve mai, per nessun motivo, lasciare la terra dove si è nati e che ” l’intero universo è costruito dall’unione di tutti pezzi giusti “ come dice in off durante il film. Insomma quello in cui crede il sogno americano ma che in realtà non mette mai in pratica.