Abbiamo visto “ S Is for Stanley “ regia di Alex Infascelli.
Con Alex Infascelli, Emilio D’Alessandro, Janette Woolmore Documentario, durata 78 min. – Italia 2015. – uscita lunedì 30 maggio 2016.
Nel 2012 è uscito un libro che racconta di un’amicizia ai limiti della favola, affettuoso e dal sapore di altri tempi, Stanley Kubrick e me, scritto da un italiano semplice, Emilio D’Alessandro con l’aiuto di Filippo Uliviero. Così abbiamo scoperto di un incontro casuale e magico tra un immigrato in Inghilterra dal profondo Lazio, alla ricerca di lavoro, agli inizi degli Anni Sessanta e uno dei geni del Cinema Mondiale, Stanley Kubrick. D’Alessandro è, ma soprattutto era, un buon pilota mai diventato professionista ed è stato un tassista, e in quell’inizio degli Anni Settanta lavorava agli studi Pinewood accompagnando attori e produttori in giro per Londra. Una sera del 1971, durante una nevicata passata alla storia, nonostante abbia lavorato ben diciotto ore di fila è l’unico tassista che accetta di portare dall’altra parte della città un oggetto di scena a una società di produzioni cinematografiche. Il buon Emilio fa questo lavoro per guadagnare il più possibile per la sua famiglia e accetta il non facile incarico, non sa che quell’oggetto diventerà un pezzo cult per il film Arancia Meccanica, non sa chi sia Kubrick e certo non è interessato al Cinema come lavoro. In fondo anche se incrocia divi e personaggi pubblici, lui vive tutto questo come un semplice e qualsiasi lavoro, senza montarsi la testa o chissà cosa. Il giorno successivo, viene convocato dal maestro, affronta una specie di colloquio di lavoro sul campo ed è assunto. Da quel momento, e per circa trent’anni, i due uomini vivranno quasi come due fratelli siamesi, si vorranno un gran bene, nonostante Kubrick sia un datore di lavoro ossessivo, perfezionista e diciamolo egocentrico e rompiballe, mentre D’Alessandro sarà paziente fino allo sfinimento, obbediente e utilissimo a tutte le necessità del maestro e probabilmente della sua famiglia..
Nel libro c’è il racconto di un uomo semplice, novello Alice nel Paese delle Meraviglie per chi ama il Cinema, che è a stretto contatto non solo con il maestro e il suo team di professionisti ma anche di attori del calibro di Ryan O’Neal, Nicholson, Shelley Duval, Matthew. Modine, Tom Cruise e Nicol Kidman, tanto per citarne solo alcuni. Oltre che da professionisti del settore, abituati a ricevere Oscar e premi in tutto il mondo. E lui ha l’onesta e la forza interiore di non perdere mai la sua ingenua bonomia, la sua disponibilità di ferro o di montarsi la testa. Cosa rara un tempo, impossibile oggi. Nel libro, che consigliamo, ci sono racconti e inediti che nel documentario di Infascelli non possono essere inseriti anche perché la narrazione è centrata quasi e unicamente sul rapporto tra i due uomini che avviene anche attraverso mille bigliettini che il regista lascia al suo amico-dipendente a tutte le ore del giorno e della notte e per qualsiasi necessità.
Alex Infascelli ci racconta in prima persona dell’incontro con la moglie di Kubrick nel lontano 2008, un’intervista legata a uno speciale televisivo. Scopre così dell’esistenza di un italiano che ha lavorato per il maestro e della sua curiosità nel conoscerlo e nella decisione di fare un documentario su di lui e sul rapporto con Kubrick. Sceglie di far parlare D’Alessandro in inglese perché il suo racconto gli sembra più sincero che non filtrato dall’italiano, lingua mai utilizzata nel rapporto con il regista. E naturalmente, a differenza del libro, il finale è più commovente perché è incentrato sulla nostalgia di Emilio per quel periodo lungo trent’anni e per l’amico Stanley che non c’è più, mentre il finale del saggio è più vitalistico perché ci racconta della nascita del nipotino a Londra e del fatto che il film Intelligenza Artificiale girato poi da Spielberg sarebbe potuto essere il film successivo del maestro che rivisita Collodi a modo suo.
Siamo nel 1971, Emilio D’Alessandro lavora agli studi Pinewood e fa una corsa notturna per portare il famoso fallo bianco del film Arancia Meccanica in un ufficio di produzione. Il giorno dopo viene convocato ad Abbots Mead, una villa alla periferia nordest di Londra. Conosce così un signore barbuto sulla quarantina: ” Buongiorno, sono Stanley Kubrick. È lei il pilota di cui si parla in questo articolo ? ” E gli mostra un vecchio ritaglio di giornale in cui si racconta di Emilio come vincitore di una corsa di formula tre. Chiede di fare un giro in auto e lo assume su due piedi perché sta cercando un nuovo autista più affidabile, immaginiamo che comprenda sin da subito dell’efficienza di quest’uomo semplice e della gran voglia di lavorare. Per Emilio, Kubrick è uno sconosciuto ( non comprendiamo perché Infascelli ci presenta il maestro come un regista non ancora famosissimo e celebrato, quando già aveva realizzato ben 11 film tra documentari e fiction e tutti capolavori assoluti ) non sa che sta ultimando le riprese di Arancia meccanica. In quasi trent’anni di sodalizio professionale e umano – interrotto solo nella parte finale da qualche anno di lontananza in cui Emilio torna a vivere nella campagna di Cassino accanto alla vecchia madre -, Emilio D’Alessandro segue la magia della pre produzione dei film del maestro, passa sui set e conosce il meglio del mondo del Cinema internazionale così lontano dai suoi proponimenti e probabilmente vissuti come un semplice lavoro, purtroppo faticosissimo a volte…
L’alone di mito e di uomo burbero e inafferrabile che ha Kubrick, con questo documentario, svanisce un po’, perché la sua vita e la sua carriera – attraverso gli occhi del suo assistente personale – mostra un uomo sì perfezionista fino alla nevrosi e all’egotismo, ma anche un uomo incerto quando vede i figli lasciare casa, preoccuparsi della salute dei tanti animali che girano per la villa e anche del buon cuore che mostra quando Emilio ha dei problemi di famiglia. Ma nel documentario ci sono anche parecchi aneddoti divertenti come l’antipatia di Emilio per Jack Nicholson, per la sua abitudine di tirare la polverina bianca e per farlo rallentare con l’auto per guardare meglio il corpo di qualche ragazza che sta passeggiando. Racconta con affetto invece delle insicurezze di Modine durante le riprese di Full Metal Jacket o del carattere di O’Nell durante le riprese di Barry Lyndon, della gentilezza verso di lui di Tom Cruise. E della sua partecipazione, come figurante e non solo nell’ultimo film, Eyes Wide Shut, in cui fa il giornalaio in una scena proprio accanto a Cruise mentre un negozio della strada ha il suo cognome.
Il documentario S if for Stanley è stato presentato al Festival di Roma, ha ricevuto il David di Donatello 2016 come miglior documentario.