Era uscito a puntate sul mensile “Bungei shunju” in Giappone, nel 1970. Ed ora esce tutto di seguito, sfiorando le trecento pagine, per Adelphi, il noir di Matsumoto Seichō (1909-1992), tradotto anche stavolta da Gala Maria Follaco. L’attesa è un’altra opera che pone al centro una donna tremenda e irresistibile, ambiziosa e calcolatrice, cinica e corrotta. Si tratta di Idako: una donna completamente priva di scrupoli e assetata di sesso e, soprattutto, di soldi, quelli del marito, di trent’anni più vecchio e con una salute non propriamente robusta. Nobuhiro è infatti al suo secondo matrimonio, ha due figlie che non vede quasi mai ed è ingegnere: grazie alle sue invenzioni, riveste ancora un importante incarico presso la S. Optics.
Marito silenzioso, curvo sotto il peso degli anni, apparentemente devoto alla bella e giovane moglie. L’unico grillo che gli passa per la testa sembrerebbe il desiderio, presto assecondato dalla giovane moglie, di voler scrivere la propria autobiografia. La spietata Idako, però, ha già le idee piuttosto chiare sul proprio futuro da vedova. E ha come amante – si suppone tra gli altri, dal momento che non manca di fare la civetta anche coi benzinai – il giovane Ishii Kanji. Il primo cadavere sul tappeto, anzi sul tatami, alle primissime pagine, è proprio quello della compagna del giovane Kanji. E Idako, innocente e immorale, appare già, suo malgrado, sulla scena del delitto.
Fabrizia Sabbatini Davide Brullo
Geishe – Canti minimi
Matsumoto Seichō, con maestria nella descrizione degli interni, ci fa entrare nella casa dei personaggi, tra un tatami e l’altro, dove si scovano le pieghe dell’animo dei personaggi.
“Idako decise di entrare ad aspettarlo. Era già stata molte volte a casa sua, quindi non ebbe alcuna esitazione. Si tolse le scarpe, attraversò la cucina buia ed entrò nel soggiorno. Si guardò intorno per qualche istante. In un angolo c’erano una scrivania e un mobile con dei libri: alcuni volumi di qualche collezione letteraria, ma anche i libri di economia, di golf, manuali, eccetera. Sulla scrivania c’era una valigetta aperta da cui sporgevano documenti, carta intestata e opuscoli. Al centro del soggiorno, su un tavolo basso in melamina, c’erano delle riviste lasciate in disordine; altri si trovavano sul tatami insieme a un posacenere, e c’era un cuscino discosto dal tavolo. Tutto faceva pensare che Kanji fosse stato interrotto mentre leggeva le riviste sdraiato a terra. Nell’angolo di fronte alla scrivania c’era uno specchio a tre ante. Di grandi dimensioni, era l’oggetto più bello della stanza. Il punto focale delle occupazioni e della vanità della cantante di cabaret. Davanti allo specchio c’era una collezione di cosmetici, molti dei quali stranieri, segno di una certa presunzione. Accanto c’era un telefono. Silenzioso come poco prima quando lo aveva chiamato da una cabina lungo la strada. Idako socchiuse la porta scorrevole che divideva la stanza da quella accanto. Una stanza di quattro tatami e mezzo, con armadi che contenevano abiti occidentali e giapponesi allineati su una parete e il ripostiglio a muro sull’altro lato. Alla parete era appeso un kimono da donna. Nel ripostiglio c’erano i futon ripiegati. E questo lo sapeva già, considerata la natura delle sue visite. Stavolta però nella stanza trovò un futon steso a terra e una persona che vi giaceva sopra. Un futon con motivi floreali che conosceva bene. Accanto al cuscino c’erano una piccola scatola e un bicchiere”.
Di che scatola si tratta? Com’è morta Noriko? Chi è il colpevole? La sua morte è stata causata dall’essere stata picchiata a morte dal suo compagno Ishii? Lui l’ha spinta poi lei è caduta di schiena e ha battuto la testa contro lo spigolo del lavello d’acciaio? Ha avuto un’emorragia interna al cervello che le ha causato coaguli in seguito alla colluttazione, oppure è morta dopo aver ingerito una dose letale di sonniferi?
Per evitare di essere coinvolta nel delitto e nelle conseguenze scandalose della sua presenza accidentale sulla scena, Idako trova, grazie a un amore del passato, il giovane e ambizioso avvocato Saeki. A lui chiede di fare in modo che il suo cliente resti a marcire in cella il più a lungo possibile. L’attesa che dà il titolo al romanzo a puntate non è solo l’attesa di un giovane accusato di omicidio preterintenzionale, ma è anche e soprattutto l’attesa della morte del marito di Idako, Nobuhiro. Un’attesa che si fa impellente, ossessiva, senza pace. Nobuhiro infatti, dopo aver avuto uno, anzi due, infarti, stenta infatti a morire. L’infarto aveva già fatto la comparsa nella mente e nell’opera di Matsumoto Seichō, uscita da noi nel 2020, Un posto tranquillo. Si trattava, anche in quel caso, di un secondo infarto, letale, per la seconda moglie di Tsuneo, Eiko. Nel terribile e stupendo romanzo (forse il mio preferito dello scrittore di Fukuoka) La ragazza del Kyūshū e in Un posto tranquillo si cercava di vendicare una morte. Ma anche trovando il responsabile di quella morte (della moglie come del fratello, in questo caso del marito o della compagna), diretto o indiretto, cosa vorremmo sapere da lui? Se lo trovassimo?
In questo romanzo, Idako le pensa davvero tutte per far fuori suo marito, fargli scoppiare il cuore e accaparrarsi l’eredità, in virtù di un testamento autografo. Ma la vita prende strade sempre imprevedibili e le radici del male presto o tardi vedono la luce del sole. Con un pizzico di modernità, certamente in anticipo sui tempi, lo scrittore di Kokura, premio Akutagawa nel 1953, sceglie di vendicare la morte di Nobuhiro che muore finalmente (per il lettore!), per infarto del miocardio, grazie a uno stratagemma tecnologico. E i soldi dell’eredità si trasformano in debiti fagocitanti per la crudelissima Idako, mentre qualcuno uscito di galera si vendica, spinto proprio da questo stratagemma che non rivelo, del suo avvocato e della sua procace ma non più così giovane amante.