Seguo Aldo Nove da diversi anni, oramai, ed era da un po’ che volevo proporgli un’intervista a tutto tondo, per certi versi generalista, che trattasse i più disparati argomenti e provasse a indagarlo sia in quanto autore, sia – nei limiti del possibile – in quanto essere umano. Dunque ho provato a fargliela, quest’intervista, e abbiamo parlato di tante cose, dalla forma mentis del Medioevo alla dieta Dukan. Siamo partiti, però, da Tutta la luce del mondo, il suo ultimo romanzo edito da Bompiani.
Io: Dunque Aldo, sei passato da un’autobiografia romanzata, che era La vita oscena, a un vero e proprio romanzo biografico, che è Tutta la luce del mondo, seppur quest’ultimo sia filtrato, con le dovute licenze, dal punto di vista di un bambino, il nipote di San Francesco. Ho l’impressione che questo sia stato e sarà un passaggio importante della tua carriera. Mi spieghi come ci sei arrivato? È stata una scelta, oppure è venuto in mondo spontaneo?
Aldo Nove: Spero di fare sempre passaggi importanti nella mia ricerca. È stata una scelta venuta in modo spontaneo. Mi sembra un po’ la domanda del ci fa o ci è. Direi tutte e due le cose assieme. Nel senso che ho scelto uno dei possibili indirizzi o sviluppi. Più che altro, il problema mio, o il pregio, non lo so, è che ho molti interessi e passioni, mi piace il linguaggio in tutte le sue forme possibili, tant’è vero che scrivo sia in poesia che narrativa. Sono laureato in filosofia, forse la filosofia è la mia passione principale, ma anche la storia. Inoltre mi occupo anche di media, di canzoni. Diciamo che con San Francesco, uomo del medioevo, scrittore di poesie, cantante, una figura anomala, se vogliamo, ho messo assieme diverse cose che mi interessavano, e ho seguito un percorso di ricerca.
Io: Certo. È anche vero, però, che tutti i tuoi romanzi precedenti, in un modo o nell’altro, erano delle perfette sintesi del mondo contemporaneo. Quant’è stato difficile, quindi, calarsi in un personaggio e in un mondo come quello di San Francesco? Hai avvertito, approcciandoti ad esso, un qualche tipo di timore reverenziale?
Aldo Nove: Sicuramente avvertivo un timore reverenziale nei confronti di San Francesco, infatti l’idea era quella di scrivere il libro in prima persona, come se io fossi San Francesco, ma poi l’idea è fallita e ho trovato questo escamotage che mi è piaciuto molto, l’idea del possibile punto di vista del nipote di San Francesco, un personaggio reale che ho scoperto in documenti notarili del tredicesimo secolo. Quindi, San Francesco visto attraverso gli occhi di un bambino che è anche suo parente, perché è il figlio del fratello. Si tratta sempre di interpretare, di interpretare quello che vediamo e sentiamo. Ci siamo sempre noi come filtro. Sono io, io come scrittore, che filtro quello che vedo nel contemporaneo, ma è stato così anche per il Medioevo. Alla fine, siamo sempre noi stessi a dover interpretare le cose.
Io: Hai avuto qualche difficoltà nel ricreare a parole un’epoca distante come quella del Medioevo? Intendo proprio difficoltà pratiche…
Aldo Nove: Sì, ma le difficoltà sono anche gli stimoli. Ho letto tantissimi libri. Mi sono trovato di fronte a una mentalità completamente diversa. In filosofia della scienza si chiama “cambio di paradigma”. Fra come pensiamo noi e come pensavano gli uomini del Medioevo, sicuramente c’è un abisso, un abisso talmente grande che non ho idea di quanto possa essere colmato. Per questo, prima ti dicevo che si tratta sempre della nostra interpretazione. Poi c’è la lingua del Medioevo, sia il latino che l’italiano grezzo, molto efficace, potente. Mi sono innamorato dei fioretti di San Francesco quando avevo, non so, dieci anni, poi li ho letti più volte, credo tre. Li ho letti un’altra volta intorno ai trent’anni, poi li ho riletti adesso, per scrivere il libro. C’è anche tutta la potenza della mitologia, l’aspetto magico del pensiero medievale, che poi sarebbe esploso ancora di più nel Rinascimento. È tutto collegato con tutto. Noi, adesso, abbiamo una visione delle cose molto frammentata, siamo dispersi in un caos di informazioni in cui c’è davvero di tutto, da Rubio (si riferisce, qui, alla mia precedente intervista per minima&moralia) a me a Valentina Nappi. È tutto scollegato, no? L’uomo medievale, invece, aveva una visione molto sintetica, molto unitaria del mondo e delle cose. Questo non vuol dire né che sia migliore né che sia peggiore, era sicuramente diversa e, appunto, unitaria.
Io: Che rapporto hai con la fede?
Aldo Nove: (Resta in silenzio per circa dieci secondi) …
Io: Quindi?
Aldo Nove: Era questa la mia risposta. Nel senso che c’è un grosso problema di linguaggio e di comunicazione intorno a questo argomento. Nel senso che se ne occupano in pochi, e chi lo fa seriamente, oggi, lo fa comunque in maniera molto frammentata. Non saprei bene con che parole risponderti. Dipende da cosa intendi per fede.
Io: Intendevo proprio la fede in generale, intesa nel senso più ampio possibile, possibilmente riferendoci a te come individuo.
Aldo Nove: Per te cos’è la fede?
Io: Penso che la fede sia quella cosa che non ho. Quella che hanno provato a inculcarmi a catechismo ma non ha mai attecchito.
Aldo Nove: Appunto. La ricerca spirituale di un individuo adulto, se c’è, non ha a che fare con quello che ci hanno insegnato a catechismo.
Io: (Ridendo) Ma io l’avevo chiesto a te!
Aldo Nove: Il fatto è che non si può rispondere a questa domanda. Si può rispondere soltanto in senso esteriore, ovvero nel modo più banale e degradante possibile. In pratica l’italiano medio, o meglio, novantanove italiani su cento, che sono cattolici o anticattolici per finta, dato che alla fine non gliene potrebbe fregare di meno, semplicemente parlano di aderire o meno a una visione superficiale della religiosità. Questo sia l’ateo che il teista o l’agnostico. Quindi non rispondo a questa domanda, perché sarebbe comunque fuorviante.
Io: Dovrei riformulare la domanda, come gli avvocati in tribunale.
Aldo Nove: Sì, potresti riformularla in modo molto molto preciso e specifico. Se rispondessi adesso, alla domanda generica, creerei in chi legge dei riferimenti al suo immaginario e non al mio. Se la fede è quella dell’italiano medio, intesa nel senso di andare a messa o quelle robe lì, no, io non ce l’ho. Io ho un rapporto con la spiritualità.
Io: In realtà, ho lasciato la domanda molto generica perché volevo che fossi libero di interpretarla. Ero conscio che questo sarebbe stato un campo minato.
Aldo Nove: Sì, lo è a priori, ma lo è proprio a livello linguistico.
Io: Torniamo un po’ indietro. Questa è una domanda apparentemente banale, ma che a volte può avere dei risvolti profondi. Quando hai capito che nella vita volevi scrivere? C’è stato un momento preciso?
Aldo Nove: L’ho capito a sei o sette anni. A scuola ero bravissimo a fare i pensierini, la maestra li leggeva sempre a tutta la classe. Ero molto timido, balbettavo, avevo problemi a parlare, però mi veniva bene scrivere. Poi mi piaceva, siccome ero timido, starmene per i cavoli miei a leggere. Quindi, leggere e scrivere, leggere e scrivere. Allora da grande volevo fare lo scrittore, perché non esiste il lettore come lavoro, no? Però mi sarebbe anche piaciuto fare il lettore.
Io: Non hai mai dubitato di questa cosa, dai sei anni in poi? Tu sapevi che saresti diventato uno scrittore?
Aldo Nove: Sì, ero molto determinato. Non ho quasi mai avuto ripensamenti. Forse a quindici anni mi sarebbe piaciuto fare il pornoattore…
Io: Be’, potevi provarci. Dovremmo proporti a Valentina Nappi!
Aldo Nove: Eh, falle vedere qualche mia foto. (Ridendo) In un confronto diretto con Rocco Siffredi, comunque, non avrei gli argomenti.
Io: (Rido). Senti, ai tempi di Superwoobinda eri stato etichettato come uno degli appartenenti alla Gioventù Cannibale. Cos’è rimasto, se è rimasto qualcosa, dell’Aldo Nove di quel periodo?
Aldo Nove: Mah, molto. Cioè, la definizione cannibale era stata un’invenzione di Paolo Repetti e Severino Cesari, dell’Einaudi. Innanzitutto, c’era proprio quest’aspetto del cannibalico, del divorare tutto. E poi c’era questo bisogno – che è stato intercettato dall’Einaudi, quando ha fatto quell’antologia che è diventata un caso letterario – e insomma, c’era stato questo bisogno di raccontare un presente che si era trasformato e di cui in letteratura non c’era ancora traccia. Santacroce, Ammaniti, Scarpa, io… pur non conoscendoci, pur avendo storie diverse, eravamo giovani e avevamo voglia di raccontare un presente che era diverso da quello che si trovava nella narrativa di allora. Molto diverso, tranne forse per quanto riguarda Tondelli, che alla fine degli anni ’80 si era messo a fare delle ricognizioni sul presente. Se pensi che l’antologia era uscita, credo, intorno al ’95…
Io: È uscita nel ’96, sì.
Aldo Nove: Eh, ’92 mani pulite, ’94 primo governo Berlusconi. Era un momento molto delicato e complesso. Nuovo, nella storia d’Italia. Eravamo tutti abbastanza storditi dal fenomeno del berlusconismo. Tra l’altro, nessuno avrebbe immaginato che sarebbe durato vent’anni o più. Era un mondo strano quello che raccontavamo, no?
Io: Sì, molto, anche se io ero ancora piccolo. Non avevo neanche dieci anni, quando è uscita quell’antologia.
Aldo Nove: Tutti noi pensavamo che fosse qualcosa di provvisorio. Purtroppo, invece, la Gioventù Cannibale ha vinto, ha indicato un tipo di realtà che poi è stata quella che è dilagata, e non è una realtà stupenda. Anzi, è una realtà psicotica.
Io: Che ne è stato, invece, della Gioventù Cannibale in sé, anche come movimento, ora che quel presente è diventato passato? Hai ancora rapporti con gli altri autori?
Aldo Nove: Non è mai stato un movimento. La grossa differenza fra noi e il Gruppo 63 è che noi non siamo mai stati un movimento. Cioè, io sono amico personale di Tiziano Scarpa e Niccolò Ammaniti. Ma, al di là del conoscersi come persone, non c’è mai stato un lavoro teorico in comune, o un vero e proprio confronto, se non nell’occasionalità dell’amicizia. Non c’è stato nessun movimento cannibale.
Io: Andiamo avanti con la tua bibliografia. Con Puerto Plata Market, per certi versi, hai proseguito il filone di Superwoobinda. Il tuo linguaggio era, passami il termine, quello della gente comune, degli scambisti, dei malati di pornografia, di televisione, delle casalinghe annoiate che volevano andare a letto con Magalli, eccetera. Oggi, nel 2014, questi soggetti sono cambiati? Se sì, in che modo?
Aldo Nove: Eh, si sono standardizzati. Da realtà emergente, sono diventati una realtà standard. Non so se hai visto Videocracy, che inizia con questi filmati con le donne con le tette di fuori, nelle televisioni private, di notte, e ai tempi era una cosa recente. Quindi sesso, merci, cioè, venivamo fuori da tutto un travaglio, gli anni ’60, gli anni ’70, e poi erano emerse queste cose. Oggi invece c’è la crisi – economica, innanzitutto. Voglio dire, non si può più reggere quel mondo lì, che era anche un mondo di sciupio, di consumismo, che oggi è riservato a pochi. Quindi c’è sicuramente un cambiamento in atto, mi sembra un mondo molto confuso e spaventato.
Io: Cosa hanno rappresentato per te, nella tua vita, gli elementi di cui parlavo prima? Mi riferisco a cose come la pornografia, la televisione, perfino il cibo industriale, che tornava molto nei tuoi romanzi.
Aldo Nove: Erano cose che mi circondavano.
Io: Ti circondavano o ti facevi circondare?
Aldo Nove: Entrambe le cose. Ero in un acquario e l’acqua era quella.
Io: Li vivevi come elementi ansiogeni oppure ansiolitici?
Aldo Nove: Anche qui, entrambe le cose. La pornografia è sia ansiogena che ansiolitica. Perché crea una sorta di dipendenza masturbatoria e artificiosa, allucinata. A un certo punto, dagli anni ’70 fino agli anni ’90, è esploso tutto questo immaginario merceologico, commerciale, di un benessere fra virgolette alla portata di tutti. Da una parte era fascinoso, dall’altro anche pericoloso. Pericoloso nel senso che la mia generazione, come direbbe il mio amico Danilo Masotti, a cui voglio molto bene, è formata da “adultolescenti”, un termine che ha coniato lui. C’è questa adolescenza da cui non si esce molto bene, anche per via della situazione economica e politica. Siamo adolescenti di cinquant’anni che bazzicano nel caos.
Io: Con Amore mio infinito, invece, ti sei un po’ discostato da quanto fatto in precedenza. È come se all’interno del tuo linguaggio fosse esploso una specie di nucleo poetico. Ti sei fatto più serio, in qualche modo. Com’è avvenuto questo cambiamento? È successo davvero, oppure è solo una mia fantasia?
Aldo Nove: Mah, io cambio sempre. Con Amore mio infinito, per la prima volta, c’è stato un guardarsi dentro. C’era il tema dell’innamoramento, dell’amore, ma sempre nel contesto precedente. In Amore mio infinito, se ricordo bene, c’è una frase che dice “Due quando si amano mangiano insieme il Biancorì”. Dicevo una cosa di questo genere. Il contesto era lo stesso, ma con l’aggiunta dell’innamoramento. L’amore c’è sempre stato. C’era ai tempi di Dante, ai tempi di…
Io: (Interrompendolo) C’è stato in tutti i tempi, direi.
Aldo Nove: Be’, direi di sì. Bisognerebbe andare a vedere prima dell’Homo sapiens. La gloria di colui che tutto move. Dante, quelle robe lì…
Io: Quant’è stato difficile scrivere La vita oscena? In un certo senso, hai dato in pasto ai lettori le tue vicende personali. Come ti ha fatto sentire questa cosa?
Aldo Nove: È stato pesantissimo, però era una prova a cui tenevo molto. Ci ho messo molti molti molti anni per riuscire a scriverlo. Quando poi ho trovato l’equilibrio sufficiente per farlo, allora sono partito piuttosto speditamente, cercando di essere il più lucido e conciso ed utile possibile.
Io: Quanto c’è di vero ne La vita oscena? Riusciresti a darmi una percentuale?
Aldo Nove: Credo che in qualunque biografia ci siano elementi di invenzione, sennò diventa un’anamnesi, una roba da cartella clinica. Però c’è molta verità, direi un 80%.
Io: Adesso tutti conoscono la tua storia. Non dev’essere stato semplice sentirsi pronti per una cosa del genere.
Aldo Nove: Eh, te l’ho detto, c’è voluta una quindicina di anni.
Io: Dai, alleggeriamo un po’ i toni. Com’è stata, in generale, l’esperienza del film tratto da La vita oscena?
Aldo Nove: Bella. Mi è piaciuto il tipo di lavoro che ha fatto Renato De Maria. Poi, io sono un suo grande fan. Paz! è uno dei film che ho amato di più.
Io: Com’è stata, in particolare, l’esperienza al Festival di Venezia? Si trattava, credo, della prima proiezione pubblica. Eri agitato?
Aldo Nove: È stato bello, ma abbastanza stomachevole. Nel senso che c’era un ambiente molto teso, molto artefatto, mondano. Umanamente, però, è stata un’esperienza ricca, in bilico fra la mia interiorità e un contesto così ipermondano. L’ho vissuto abbastanza male, eppure è stato un male interessante, è stata una sfida anche questa. La Riccobono però è molto bella!
Io: (Ridendo) Be’, non dovevi andare a Venezia per capirlo!
Aldo Nove: No, ma io l’avevo già vista sul set!
Io: Ah, ecco. Mi chiedevo, appunto, come vivesse una persona timida, anche introversa come te, queste esperienze estemporanee nel jet set.
Aldo Nove: Le ho vissute con curiosità. Mi sono sempre sentito un infiltrato, anche in televisione, da Costanzo a Marzullo. Anche a Ballarò, quest’anno. Mi sento sempre uno che non c’entra, però sono curioso.
Io: Quando vai in televisione, quindi, non ti viene una crisi d’ansia due minuti prima di entrare in scena?
Aldo Nove: Credo che mi salvi molto l’autoironia. Un po’ mi viene la crisi d’ansia, ma un po’ mi viene anche da ridere. Allora mi aiuta molto la seconda.
Io: Questa, tendenzialmente, è una domanda che faccio a tutti. Com’è la tua giornata tipo, ammesso che tu ne abbia una?
Aldo Nove: Mi sveglio fra le 07:30 e le 09:30. Faccio colazione con la crusca d’avena. Leggo, studio, mangio, vedo gente. Scrivo. Cerco di andare a letto relativamente presto, che per me significa mezzanotte. Difficilmente, però, mi addormento prima delle 03:00, perché leggo.
Io: Dormi pochissimo, allora.
Aldo Nove: Eh, cinque o sei ore a notte, sì. Ma faccio anche la dormitina al pomeriggio, un’oretta, così alla fine diventano sette.
Io: Quindi non passi mai giornate nell’ozio, nella trance demotivazionale più assoluta.
Aldo Nove: Non mi sono mai annoiato. Ho avuto un sacco di problemi nell’esistenza ma certo non mi sono mai annoiato. Era Truffaut, no?, a cui bastavano un tot. di libri alla settimana, un tot di film alla settimana per non annoiarsi. Anzi, io ho sempre l’ansia. Mi sembra di avere in arretrato migliaia di libri da leggere, e ogni giorno se ne aggiungono. Uguale i film, e cose da vedere e da fare.
Io: Qual è il tuo rapporto coi social? Su Facebook sei molto attivo, i tuoi status sono molto seguiti.
Aldo Nove: Mi trovo molto meglio su Facebook, rispetto a Twitter, per la banale questione delle 140 battute. Ho bisogno di più spazio, infatti Twitter è molto più in auge in ambito giornalistico. Su Facebook si possono fare anche degli esperimenti linguistici, e poi mi interessa molto l’interattività, cioè il fatto di come si sviluppa il thread. Immaginare che il thread possa anche essere una specie di testo collettivo. Spesso si creano dei thread molto affascinanti, soprattutto quando l’argomento è scherzoso, giocoso, leggero.
Io: Quante ore passi al giorno su Facebook?
Aldo Nove: Mah, una.
Io: Soltanto? Bravo, hai molta disciplina.
Aldo Nove: Lo tengo sempre acceso. Lo uso quasi come un taccuino. Se mi viene in mente una frase, anziché scriverla su un quaderno o su un file, la scrivo su Facebook. Poi, ogni tanto, controllo e vedo che si è formato un thread. Quindi, complessivamente, a colpi di cinque minuti, raggiungo l’oretta al giorno, ma non credo di più.
Io: Continuiamo con l’alleggerimento dei toni. Quando ti ho incrociato al Salone del Libro, ho visto che hai perso un sacco di chili. Ora sei pronto per la copertina di GQ.
Aldo Nove: Mancano un po’ di addominali e poi ci siamo, potrò incontrarmi con la Nappi e sfoggiare, al di là delle dimensioni non-rocchiche, la mia prestanza fisica.
Io: Che tipo di dieta hai fatto? La Dukan?
Aldo Nove: Bravo. Io sono molto cannibale, quindi andava bene per me.
Io: Però sembra che non faccia benissimo…
Aldo Nove: Mah, più o meno. Se la fai per diversi anni, muori, perché ti mangia il fegato. Assumere molte proteine, specialmente di origine animale, è piuttosto intossicante. Se lo fai ma per un tempo limitato e prendi delle contromisure, dovresti riuscire a non intossicarti.
Io: Hai fatto anche dello sport, abbinato alla dieta?
Aldo Nove: Mi sono imposto di fare venti minuti al giorno di camminata, sempre. Questo è il massimo dello sport reale che riesco a fare. Poi posso giocare ai videogiochi di tennis.
Io: Chiudiamo con la domanda di rito. Come vedi, ad oggi, la situazione dell’editoria italiana?
Aldo Nove: Madonna, questa sì che è una domanda difficile. (Ridendo) Altro che la fede! È un momento di cambiamento epocale, peggio di Gutenberg. È talmente potente il cambio del mezzo – e il mezzo è importantissimo, nell’editoria – che non saprei cosa dire. Sicuramente, è molto più difficile identificare le cose buone. C’è più quantità, più accessibilità ai tesi. Ci sono meno soldi e c’è meno cura. Tanta quantità e poca qualità. Come si risolverà cosa, proprio non lo so.