Abbiamo visto “ Sing street “ regia di John Carney.
Con Lucy Boynton, Maria Doyle Kennedy, Aidan Gillen, Jack Reynor, Kelly Thornton. Commedia, durata 106 min. – Irlanda 2016. – Bim Distribuzione uscita mercoledì 9 novembre 2016.
La patria di Bono, di Bob Geldof e della O’Connor deve avere nella musica una via di fuga da una realtà in parte marginale, in parte claustrofobica, ma soprattutto fatta di grande povertà. Ce l’ha descritta con affetto e con stile naif il grande e un po’ sottovalutato Alan Parker col bel film The Commitments: forse ricordate la famosa frase nel film, Gli Irlandesi sono i più negri d’Europa, i Dublinesi sono i più negri di Irlanda e noi di periferia siamo i più negri di Dublino, quindi ripetete con me ad alta voce: Sono un negro e me ne vanto ! Il regista Carney ( Once, Tutto può cambiare ) fa un film sulla falsa riga, con la stessa immediatezza e semplicità, ma senza però alcun reale spaccato della società irlandese degli Anni Ottanta, e senza avere l’abilità registica di un Parker, tuttavia ci regala un’altra sua buona commedia di ambientazione musicale; si vede che il suo passato di bassista del gruppo musicale The Frames, agli inizi degli Anni Novanta, non è stato solo un momento. Oggi realizza questo piccolo film per adulti e ragazzi, delicato, minimalista e quasi divertente, nonostante la storia in fondo racconti la drammatica vita di un quindicenne proletario irlandese costretto a frequentare una delle scuole più disgregate di Dublino, con due genitori che si stanno per separare e un fratello maggiore in gamba ma che non ha il coraggio di iniziare una sua vita restando schiacciato in un ambiente asfittico. Una storia di un’educazione sentimentale difficoltosa in un’Irlanda in piena crisi economica, ma realizzata senza scene drammatiche e raccontata con un tono leggero, quasi adolescenziale; in cui il sogno, anche un po’ scombiccherato e ingenuo, per la musica e per una bella ragazza di un anno più grande di lui, permette a Conor di prendere il volo e rincorrere i suoi desideri chissà se poi realizzabili. Ma ciò che rende questa pellicola un piccolo prezioso film è l’ambientazione fedele di quegli Anni Ottanta, quasi un full immersion in quegli anni e una colonna sonora efficace che passa dai Duran Duran agli A-Ha, dai Cure agli Spandau Ballet.
Siamo nella periferia di Dublino nella metà degli Anni Ottanta, Conor ( il bravo diciassettenne Ferdia Walsh-Peelo, già musicista ) è un quindicenne che vive con i genitori sempre pronti a litigare e sul punto di separarsi, ha un fratello maggiore dalla buona cultura musicale ma che ha abbandonato ben presto la sua passione per la chitarra e una sorella succube dell’ambiente familiare che cerca di studiare e diventare forse un’architetta. Per ristrettezze economiche familiari, Conor è costretto a cambiare scuola e finisce in periferia a scontrarsi con bulletti malinconici e con un preside prete ancora più bullo. Unico suo sfogo, a una vita misera, è scrivere testi di canzoni ma non ha reali speranze o ambizioni. Trova una via di fuga da quella periferia del mondo quando conosce Raphina ( la statunitense Lucy Boynton ), una bellissima ragazza orfana che vive in una specie di casa famiglia e col sogno di andare a fare la modella a Londra. Per conoscerla Conor si inventa che è il front-man di un gruppo musicale e che deve preparare un video. Lei accetta di parteciparvi e allora Conor deve in tutta fretta formare un gruppo musicale, contatta dei ragazzini che solo all’apparenza sono del tutto improbabili e senza alcun carisma, e per fortuna tra loro c’è Eamon, che sa suonare vari strumenti e che ne possiede alcuni che appartengono al padre, un musicista di matrimoni che adesso si sta disintossicando dall’alcol. A una vita mesta Conor trova nella musica un naturale sfogo creativo ed esistenziale, rafforzato dall’affetto e lo sprone del fratello maggiore e dall’amore che prova per Raphina, che nel frattempo è scaricata dal ragazzo che le prometteva di portarla a Londra. Conor trova il coraggio che non sapeva di possedere, prende la barchetta del nonno abbandonata al porto, fa salire la ragazza e parte con lei verso l’Inghilterra e verso un sogno fatto di musica, amore e voglia di vivere.
Anche il regista John Carney è di Dublino, anche lui suonava la chitarra acustica così come simile era la sua passione per la musica. Quindi tutto ciò che è raccontato non nasce dalla fantasia e dalla creatività ma da un suo vissuto, per questo il racconto ha un equilibrio, una leggerezza, una profondità che non si trova spesso nel panorama contemporaneo del cinema. Rielaborando il proprio back ground degli Anni Ottanta e rifacendosi alla tradizione anglosassone del romanzo di formazione collegata alla musica, Carney riesce a realizzare un piccolo film divertente e lieve, ricco di trovate musicali e narrative che rendono credibile una band di ragazzini scalcagnati come ce ne devono essere state tante all’epoca.
Un cast di attori non professionisti ma tutti credibili per naturalezza e lievita, una regia semplice e sicura, una colonna sonora da premio, sta tutta qui la storia. Il film è passato al Sundance Film Festival e al Festival di Roma.