Abbiamo visto “ Still Life “ regia di Uberto Pasolini.
Personaggio fuori dagli schemi Uberto Pasolini, ( discendente non di Pasolini ma a quanto pare di Luchino Visconti ), ex banchiere, apprendista nella produzione internazionale degli anni ottanta ( “ Urla del silenzio “ ), produttore televisivo negli anni novanta, ma anche di piccoli film notevoli e molto interessanti come “ Palookaville “ di Alan Taylor ( tipica commedia all’italiana tra Monicelli e quel qualcosa di Italo Calvino ) e soprattutto “ Full Monty “ diretto da Peter Cattaneo, successo mondiale. Dopo qualche altra produzione è passato alla regia con “ Machan – La vera storia di una falsa squadra “, film ambientato in Sri Lanka e giunto in Italia nel 2008. Adesso giunge “ Still life ( Premio per la migliore regia nella sezione Orizzonti della 70esima edizione della Mostra del cinema di Venezia ) un piccolo film delicato, prezioso, in controtendenza, rigorosissimo ma anche un po’ lento e compiaciuto. Con un attore eccellente che parla poco, si muove tra silenzi e solitudine eppure non ha un attimo di inutile psicologismo
La storia nasce da una figura che realmente esiste a Londra: un impiegato comunale addetto a rintracciare i parenti delle persone morte in solitudine e che quindi hanno perso i contatti con i familiari. ” La traduzione dell’espressione inglese “ Still Life “ è natura morta – spiega il regista – ma il mio film non è sulla morte, è sulla vita. Preferisco altre interpretazioni del titolo: una vita ferma, che non si muove, sempre uguale come è quella del mio protagonista all’inizio del film, ma si può tradurre anche con ” una vita per immagini ” oppure ” ancora in vita ” che poi è il senso profondo del film. Ogni vita va valorizzata per quello che è… L’idea per il film è nata dalla lettura di un’intervista su un quotidiano inglese a uno di questi funzionari comunali e mi è venuta la curiosità di capire di più del loro lavoro. Per sei mesi li ho affiancati nelle loro mansioni, sono stato con loro nelle case dei defunti, ho presenziato alla cremazione o ai funerali di tante persone dove spesso io ero l’unico, a parte l’officiante, perché talvolta neppure i funzionari che hanno organizzato il funerale posso essere presenti, per i loro impegni di lavoro. Quasi tutto quello che si vede nel film l’ho tratto dalla realtà, la signora che scriveva i biglietti di auguri al proprio gatto è stata la mia prima visita “.
John May ( Eddie Marsan, visto inpiccoli ruoli in “ Gangs of New York “, “ 21 grammi “, “ L’illusionista “ e soprattutto “ Il segreto di Vera Drake “ ) trascorre la sua vita lavorativa tra un ufficio desolato e grigio, la sala mortuaria e le case delle persone appena morte ( neanche fosse un ornitologo osserva le collane delle signore morte, un rossetto, delle mutande stese ad asciugare sul riscaldamento, le solite bottigie di liquore ormai vuote ). E’ una persona sola e precisa e quindi lavora con cura, con calma e ricostruisce le vite dei defunti per rintracciare qualche parente e poi farlo partecipare al funerale. Spesso non ci riesce e allora cerca di ricostruire la personalità dei defunti e scrive brevi discorsi di commiato da consegnare all’officiante di un rito di cui lui è l’unico partecipante. E‘ un uomo metodico, solitario e mette tutte le sue energie nell’intuire il tipo di cerimonia funebre che i morti avrebbero gradito. E spesso, alla funzione funebre, come dietro al feretro che va al cimitero c’è solo lui presente e puntuale. Forse vuol bene a tutte quelle persone sole perché lui è solo e si immedesima su quando toccherà a lui fare l’ultimo viaggio. Ma un giorno il comune ha deciso che deve risparmiare e May viene licenziato non prima però dell’ultimo decesso, e allora si impegna e si sforza per risolvere quest’ultimo funerale. Inizia la ricerca dei parenti di un certo Billy Stoke morto solo e alcolizzato ma dalla vita passata ricca di avvenimenti e soddisfazioni. Rintraccia una figlia e con lei instaura un rapporto fatto di gentilezza e attenzione, ma è anche affascinato dalla vita dell’uomo e, come gesto spontaneo, gli cede la sua tomba posta in un bel posto arioso e panoramico. Il finale – probabilmente in coerenza con la storia – spiazza lo spettatore e toglie qualsiasi happy end facile al film anche se il tono gentile di Pasolini è poetico come poteva esserlo solo Zavattini nel neorealismo.
Una storia con un cast non glamour, in fondo malinconico se non triste, ma che ci lascia un sapore di retrogusto sul nostro modo di vivere e di come dimentichiamo gli altri.