Abbiamo visto “ The Wolf of Wall Street “ diretto da Martin Scorsese.
Hanno detto e scritto di tutto su questo film, sono arrivati a scrivere anche che è un film immorale perché si prova empatia per il protagonista disonesto e normalmente criminale. Che c’è il rischio della ‘ catarsi ‘ o di mancanza di ‘ afflato di umanità. E scivolando sempre più giù qualcuno ha asserito che può essere così traumatica la visione che si rischia “di non fare sesso per una settimana “. A quando la richiesta di dove sia la morale della favola ? Nemmeno il prete della sala parrocchietta avrebbe avuto il coraggio di scendere su questo terreno già nei lontani Anni Settanta.
Scorsese è uno dei più grandi autori di Cinema vivente e continua nella sua ricerca di ‘ mostri ‘ da raccontare e mai – fossero “ Quei bravi ragazzi “ o “ Toro scatenato “ o… – che si fosse sentita la critica che il regista non si è schierato contro i suoi protagonisti. Ma come si fa ? Scorsese racconta storie per quelle che sono, perché un regista non è un politico o un prete o un moralista. E poi tocca allo spettatore giungere a delle sue conclusioni senza che qualcuno lo conduca per mano. E se qualcuno vuole diventare come quel protagonista non è certo il film a spingerlo bensì la sua poca coscienza.
Scorsese in questo ultimo lavoro scardina quel senso del ritmo narrativo di cui è maestro e realizza una pellicola di tre ore che si adegua con la macchina da presa anche al brutto che rappresentano gli Anni Ottanta, quelli della prima bolla speculativa, quella di Wall Street, quella dell’edonismo reaganiano. Riesce a raccontare con occhio limpido e in modo repellente quegli anni non perché lo dichiari ma perché lo erano, e non c’è redenzione perché nessuna sapeva più cosa fosse o a cosa servisse. “ The Voolf of Wall Street “ è un fantasmagorico, e quindi anche smodato, racconto di personaggi, di realtà e di situazioni messi in scena per ciò che erano e rappresentavano senza che si senta la necessità del dito moralizzatore o dell’occhio critico.
Siamo a New York nel 1987, il ventiduenne Jordan Belfort ( un eccelso Leonardo Di Caprio ), già sposato, un po’ ingenuo ma molto deciso inizia a lavorare come apprendista broker a Wall Street, il suo boss e mentore è lo strafatto e bizzarro Mark Hannah ( un Matthew McConaughey bravo nel suo cameo ma un po’ troppo sopra le righe registiche – ricorda più un personaggio alla Tarantino ). Grazie a lui e all’epoca Jordan inizia a guadagnare e ad acquisire un modo di vita sopra le righe. Impara ad essere disonesto perché tutti intorno a lui lo sono e in poco tempo prende il patentino di broker. Ma nello stesso giorno c’è il Lunedì nero e la borsa crolla e lui perde il posto di lavoro. Riesce a trovare un lavoro modesto in un call center che vende azioni quotate pochissimo, il guadagno per gli altri colleghi è modesto solo perché loro sono modesti ad acchiappare clienti; Jordan invece inizia una nuova ‘ brillante ‘ carriera che si incentiva quando incontra Donnie Azoff, un suo vicino di casa che lo ammira per il suo stile ed anche per quanto guadagna: i due decidono di mettersi in affari assieme e fondano un proprio studio, chiamando degli amici a collaborare, amici che sembrano più una versione ridicola de “ Le Iene “ che non dei broker. Jordan diventa un grande venditore ma anche un gran motivatore per il suo gruppo. Ma come sappiamo tutti bene, i grandi e rapidi guadagni non nascono solo dalla personalità di qualcuno bensì dalla sua abilità ad imbrogliare, a truffare e a vivere ai limiti della legalità se non a superarla. E quegli anni sono bizzarri un po’ come i nostri, la rivista economica Forbes pubblica un articolo che svela le sue attività truffaldine, ma invece di affossarlo gli da’ una pubblicità insperata, assume altri impiegati e assieme a loro conduce una vita di eccessi tanto al lavoro quanto nel privato. Inizia a premiare tutti con soldi, con prostitute, con vari tipi di droga, guadagna talmente tanto che porta i suoi soldi in Svizzera grazie alla zia della nuova moglie e al suo amico un po’ criminale e un po’ scemo Brad Bodnick. L’F.B.I. naturalmente inizia ad indagare su di lui, a interrogarlo e casualmente arresta il suo amico Brad con una valigia piena di soldi. L’avvocato e il padre di Jordan gli consigliano di ritirarsi per evitare un eventuale arresto, lui sembra accettare ma durante il suo discorso di commiato ritratta e decide di restare alla guida della sua società. Ma due anni dopo il banchiere svizzero suo complice viene arrestato negli Stati Uniti e rivela all’FBI gli imbrogli di Jordan, che viene arrestato. Per evitare di passare vent’anni in prigione, chiede e ottiene di collaborare con la giustizia…
Un film, come abbiamo scritto, fantasmagorico. Eccezionale, imperfetto, in alcuni passaggi un po’ fatuo e ripetitivo nel presentare l’uomo Jordan ma un gran film che se ne frega di misurare toni, registri o di imporre una riflessione allo spettatore. Scorsese così perfetto nel cercare un baricentro narrativo come in “ Toro Scatenato “ o in tutta la serie mafiosa in questo se ne frega divertendosi a dilungarsi e rende quegli anni un gran vuoto pneumatico. Senza Dio, senza patria, senza ideologia, senza alcuna morale. Il cui baricentro della vita è l’esagerazione e il riflesso di uno specchio deformato. Ottimo il probabile prossimo Oscar Leonardo Di Caprio, conturbante la sexy Margot Robbie ( nel ruolo della seconda moglie ), eccezionali alcuni comprimari come Jonas Hill ( nel ruolo dell’amico Donnie Azoff ), P.J Birne ( Nicky Koskoff ) e da segnalare il premio Oscar Jean Dujardin.