Abbiamo visto Tomboy regia di Céline Sciamma.
Se cercate su un vocabolario la parola Tomboy trovate dapprima il significato di “maschiaccio”, ma cercando meglio vuol dire anche “monella” e “ragazza indiavolata”. E Laure, la protagonista, di dieci anni circa, è effettivamente una monella ma anche un maschiaccio quando prende a pugni gli altri bambini o quando gioca a pallone, e forse prova attrazione per un’amichetta e la bacia sulle labbra. Il confine della sessualità tra età infantile e la prima adolescenza è così labile e scivoloso che è difficile farsi delle opinioni precise. E anche la regista Céline Sciamma (alla sua seconda opera – la prima è stata Naissance des pieuvres (2007) anche in quel film si parla di ragazzine adolescenti e dell’innamoramento della quindicenne Marie per Floriane) sceglie questa strada fatta di tocco gentile, di sensibilità e affronta un tema difficile da raccontare e rappresentare come l’identità sessuale prima del suo sviluppo; lo fa cercando di non essere banale e di non sfiorare alcun tipo di morbosità. Ma allo stesso tempo realizza un film che sembra privo di aria e di spazio, che lascia lo spettatore alla fine della proiezione stanco e sfibrato e poco soddisfatto di quello che ha visto. Forse perché Laure ha una famiglia insopportabile e mielosa, dove c’è una mamma che vive quasi esclusivamente per la nascita del suo terzo figlio ed è anche così affettuosa con le altre due da non rendersi conto di avere in casa una bambinetta che porta i capelli tagliati da maschio, che veste da maschio; c’è un padre affettuoso ma assente per lavoro, e la sorellina piccola è così bellina e arguta da risultare fastidiosa.
Una famigliola giovane e borghese si trasferisce in un nuovo quartiere durante l’estate, il papà è sempre fuori casa, la mamma è in dolce attesa e le due figlie trascorrono le vacanze come possono. Laure (Zoé Héran), la più grandicella, capelli corti, corpo naturalmente acerbo inizia a conoscere i suoi coetanei e si presenta a loro non come Laure ma come Mickäel e nessuno sospetta di nulla. Laure picchia più degli altri, è la migliore quando giocano a calcio e quando decidono di andare tutti al mare non si scoraggia, si infila in un costume da maschietto della plastichina al posto giusto. Il film si sviluppa su due piani paralleli e che non entrano – se non nella parte finale – in contatto: la vita felice in famiglia come Laure e la vita felice con i nuovi amici come Mickäel. E tra tutti i ragazzini è l’unico che inizia anche una specie di vita amorosa con Lisa che sembra innamorarsi di lui. Ma fra poco inizierà la scuola e il gioco Laure/Mickaël entra in crisi, la madre scoprirà questa dualità e troverà una soluzione dura (per Laure) ma concreta (per lei).
Presentato al festival di Berlino, ha ottenuto il Teddy Award – Premio della giuria, riconoscimento per film a tematica GLBTQ, ha vinto anche il premio del pubblico e il premio Ottavio Mai al 26° Torino GLBT Film Festival.