Abbiamo visto “ Tra la terra e il cielo “ regia di Neeraj Ghaywan.
Con Richa Chadda, Vicky Kaushal, Sanjay Mishra, Shweta Tripathi, Nikhil Sahni. Titolo originale Masaan. Drammatico, durata 103 min. – India, Francia 2015.
L’India è uno dei luoghi più suggestivi e affascinanti al mondo, Varanasi è forse la città con maggiore presa emotiva di questo subcontinente; basta fotografarla e le emozioni e lo stupore sorgono semplicemente. Eppure con questo film sembra tutto slavato, insignificante e banale, forse il regista Neeraj Ghaywan ha pensato che raccontando due storie quasi d’amore – una drammatica solo per l’inizio e l’altra una storiella senza particolare pathos – potessero essere così significative e pregnanti da poter tenere una città come Varanasi sullo sfondo e l’antropologia di un popolo senza particolare significanza. Eppure sarebbe bastato riprendere con amore i ghat ( i gradini che scendono sul Gange ), mostrare i visi fantasmagorici e incredibili che girano da quelle parti, mostrare nella maniera più semplice i crematori sul fiume, per riuscire a trasportare lo spettatore nelle viscere di un mondo lontano e profondissimo. C’era riuscito anche l’inglese Danny Boyle con il suo The Millionaire, come la brava regista indiana Deepa Mehta con Water – Il coraggio di amare e Fire. In fondo le due storie del film sono raccontate in modo così poco emotivo, con uno sguardo quasi algido, da non coinvolgere lo spettatore e da lasciarlo quasi indifferente anche quando le storie diventano per alcuni tratti forti e drammatiche. C’è sicuramente un approccio moderno e poco indiano all’inizio del film quando il regista ci coinvolge nel pedinamento anche umano di Devi, una giovane donna fuori da qualsiasi cliché del panorama del cinema indiano, che conosciamo mentre guarda un film porno al computer, per poi recarsi in un albergo con un ragazzo conosciuto in rete per fare sesso non tanto per amore ma per curiosità. Mentre l’altra storia è una specie di Romeo e Giulietta senza veri drammi, in cui Capuleti e Montecchi non sono due famiglie bensì due classi sociali che non possono accettare l’unione dei due giovani. Ed anche l’incontro di due dei ragazzi, che si intrecciano sul finale, risultano solo un forzato happy end terzomondista. Bisognerebbe consigliare al regista, alla sua prima opera, di imparare meglio la struttura della narrazione melodrammatica e che un certo fascino indubbio che produce l’India bisogna che resti protagonista della storia e non solo da cornice sbiadita ( Varanasi è una città dove vita e morte convivono con naturalezza, dove gli indiani vengono per morire e non reincarnarsi più, dove nell’aria si respira il fumo dei corpi cremati e in cui puoi inciamparci camminando ). Deepak, Devi, Pathak e Jhonta sono quattro giovani che vivono piuttosto bene in un’India in rapida trasformazione. Nella prima storia c’è Devi, figlia di un ex professore universitario che dopo la morte della moglie ha abbandonato il suo lavoro ( non sappiamo il perché, forse per un senso di colpa ? ) per aprire un negozietto sui ghat; è un uomo solo apparentemente sereno, sfugge a un rapporto emotivo con la figlia probabilmente perché è cosciente che lei lo accusi di aver fatto morire la madre per i troppi impegni sul lavoro che aveva; Devi si reca in un albergo a ore con uno studente universitario, ma all’improvviso entrano in camera i soliti poliziotti corrotti che fotografano la ragazza a letto e sono così bruschi con il ragazzo che questi si chiude in bagno e tenta il suicidio. Il capo dei poliziotti scheda la ragazza e si presenta dal padre per ricattarlo chiedendogli una enorme cifra per non far processare la figlia. Nella seconda storia ci troviamo più o meno nello stesso posto, sempre sulle rive del Gange, dove si bruciano i morti. Un padre e un figlio fanno questo come lavoro, ma il giovane Deepak, studia con profitto all’Università, il suo obiettivo è di diventare un ingegnere ferroviario. Si innamora, corrisposto, di una ragazza di un’altra casta, lui ne è consapevole e tiene segreto la sua condizione, ma quando lui dovrà dirglielo la loro storia d’amore verrà interrotta… Ma il finale addolcisce il destino di Deepak e di Devi che si incontrano sui gradini dei ghat e decideranno di fare un giro in barca al tramonto… Passato e modernità, vita e morte, emancipazione femminile e continua minaccia con matrimoni programmati, tradizione e nuovi riti, da una vita a un’altra vita reincarnata, che può rappresentare l’Inda che si modifica, e sullo sfondo il fiume sacro per eccellenza, La Ganga, sorto dai capelli di Shiva. E su queste tradizioni, che hanno perso di significanza per i ceti acculturati e più abbienti, una polizia tra le più corrotte al mondo che cerca in tutti i modi di arrotondare gli stipendi. Tra Terra e Cielo ci racconta di giovani di oggi in fondo normali e con delle voglie e curiosità verso la vita molto comuni, ma alterna i ritratti di tre di loro con una certa frammentazione che porta lo spettatore ad interessarsi a momenti e solo in parte, per poi chiudere con un finale che a noi ha convinto poco perché sintesi emotiva di drammi ancora difficilmente risolvibili e conciliabili. Il film ha ricevuto il premio Indira Gandhi per la migliore opera prima al 63 ° indiani National Film Awards.
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