Ricordiamo François Truffaut a trent’anni dalla sua morte (21 ottobre 1984) con le sue stesse parole.
Pubblichiamo lo scambio tra Jean-Luc Godard e François Truffaut che chiuse definitivamente i rapporti tra i due grandi registi.
Da Autoritratto. Lettere 1945-1984 (Correspondance. Lettres recueillies par Gilles Jacob et Claude de Givray, 1988) uscito da Einaudi nel 1989 a cura di Sergio Toffetti, con contributi di Marco Vallora e Jean-Luc Godard
Ho visto ieri Effetto notte. Probabilmente nessuno ti dirà che sei un bugiardo, così lo faccio io. Non è affatto un insulto fascista, è una critica, ed è senza un punto di vista critico che ci lasciano film come quelli di Chabrol, Ferreri, Verneuil, Delannoy, Renoir, ecc., di cui mi lamento. Tu dici: i film sono dei grandi treni nella notte, ma chi prende il treno, in che classe, e chi lo guida con la spia della direzione di fianco? A che quelli fanno i film-treni. E se tu non parli del Trans-Europ, allora si tratta forse di un treno per pendolari, o di quello Dachau-Monaco, di cui certo non si vedrà la stazione nel film-treno di Lelouch. Sei un bugiardo, perché la tua inquadratura con Jacqueline Bisset, da Francis, l’altra sera, nel film non ci sarà, e ci si chiede come mai il regista sia l’unico che non scopa in Effetto notte. In questi giorni sto girando una cosa che si intitola Un simple film, fa vedere in che modo semplicistico (a modo suo, che è quello di Verneuil, Chabrol, ecc.) chi sia inoltre a fare il film e come questi chi lo facciano. Come numera il materiale la tua tirocinante, come porta le borse il tizio dell’Eclair, come il vecchietto della Publidécor dipinge le chiappe del Tango, come risponde la telefonista di Rassam, come allinea le cifre il contabile di Malle, e ogni volta si mette in rapporto il suono e l’immagine, il suono del facchino e il suono della Deneuve che egli sta portando, il numero di Léaud nel suo anello di pellicola, e il numero di previdenza sociale della tirocinante non pagata, il dispendio sessuale del vecchio della Publidécor e quello di Brando, il preventivo della vita quotidiana del contabile e il preventivo della Grande abbuffata, ecc. Per colpa delle grane di Malle e di Rassam che producono alla grande (come te), la grana che era prevista per me l’hanno buttata nel film di Ferreri (voglio dire proprio questo, nessun vi vieta di prendere il treno, voi però lo fate) e io sono in panne. Il film costa circa 20 milioni ed è prodotto da Anouchka e da TVAB Films (la società mia e di Gorin). Puoi entrare in coproduzione per 10 milioni? per 5 milioni? Visto Effetto notte, dovresti aiutarmi, perché gli spettatori non credano che i film si fanno solo come i tuoi. Tu non sei un bugiardo, come Pompidou, come me, tu dici la tua verità. In cambio, se vuoi , io posso lasciarti i miei diritti di La cinese, La gaia scienza e Il maschio e la femmina.
Jean-Luc. Per non costringerti a leggere fino in fondo questa lettera sgradevole, vado subito al sodo: non entrerò in coproduzione nel tuo film.
In secondo luogo ti restituisco la lettera che hai mandato a Jean-Pierre Léaud: l’ho letta e la trovo disgustosa. È per questo che sento arrivata l’ora di dirti, a lungo, che secondo me tu ti comporti come una merda.
Per quanto riguarda Jean-Pierre, che è stato tanto bistrattato dopo la storia della grande Maria e più di recente nel suo lavoro, trovo disgustoso mettersi a ululare con gli altri lupi, disgustoso tentare di scroccare, con intimidazioni, dei soldi a qualcuno che ha quindici anni meno di te e che tu pagavi meno di un milione quando era il centro dei tuoi film, che ti rendevano trenta volte di più.
Certo, Jean-Pierre è cambiato dopo I 400 colpi, ma posso dirti che io mi sono accorto, per la prima volta proprio nel Maschio e la femmina, che stare davanti a una macchina da presa poteva dargli angoscia e non gioia. Il film era buono, e lui funzionava nel film, ma la prima scena, nel caffè, era opprimente per chi lo guardava da amico e non come un entomologo.
Non ho mai formulato la minima riserva nei tuoi confronti davanti a Jean-Pierre che ti ammirava tanto, ma so che tu gli hai buttato lì più di una volta delle porcate sul mio conto, come se uno dicesse a un ragazzo: “E allora, tuo padre, trinca sempre di gusto?”.
Jean-Pierre non è il solo a essere cambiato in questi 14 anni, e se si proiettasse nella stessa sera Fino all’ultimo respiro e Crepa padrone, quegli aspetti di disincanto e di cautela al tempo stesso, che si vedono nel secondo, finirebbero per creare un clima di costernazione e di tristezza.
Me ne strasbatto di quel che pensi di Effetto notte, quel che trovo penoso da parte tua è il fatto di andare, ancora oggi, a vedere un film come quello, film di cui conosci in anticipo il contenuto che non corrisponde né alla tua idea del cinema né alla tua idea di vita. Forse Jean-Edern Hallier scriverebbe a Daninos per dirgli che non è d’accordo col suo ultimo libro?
Tu hai cambiato la tua vita e la tua testa, eppure continui a perdere un sacco di ore al cinema per stancarti gli occhi. Perché? Per trovare di che alimentare il tuo disprezzo per noi tutti, per rafforzarti nelle tue nuove certezze?
Tocca a me adesso darti del bugiardo. All’inizio di Crepa padrone: tutto va bene c’è questa frase: “Per fare un film ci voglioni i divi”. Menzogna. Lo sanno tutti quanto hai insistito per avere Jane Fonda che non voleva, mentre i tuoi finanziatori ti dicevano di prendere una qualunque. La tua coppia di attori l’hai messa in scena alla Clouzot: visto che hanno la fortuna di lavorare con me, gli basterà un decimo della paga solita, ecc. Karmitz o Bernard Paul hanno bisogno di star, non tu, dunque menzogna. La stampa: gli hanno “imposto” le star… Altra menzogna, a proposito del tuo nuovo film: non dici nulla del comodo anticipo sugli incassi che hai chiesto e ottenuto, e che dovrebbe bastarti, anche se Ferreri, come tu in modo ridicolo lo accusi di aver fatto, ha speso tutti i soldi che erano “riservati” a te. E allora, pensa di potersi permettere tutto, questo “macaroni” che viene a portarci via il pane, questo immigrato, bisogna ricondurlo alla frontiera, passando per Cannes!
Tu l’hai sempre avuta l’arte di farti passare per vittima, come Cayatte, come Boisset, come Michel Drach, vittima di Pompidou, di Marcellin, della censura, dei distributori con le forbici, mentre invece sai sempre cavartela assai bene per fare quel che vuoi, quando vuoi, come vuoi e soprattutto conservare l’immagine pura e dura che vuoi mantenere, sia pure ai danni di persone indifese, ad esempio Janine Bazin. Sei mesi dopo l’affare Kiejman, Janine si è vista togliere le sue trasmissioni, vendetta abilmente differita. Kiejman non poteva pensare di parlare di cinema politico senza intervistarti, la tua parte – perché si tratta appunto di una parte – all’epoca consisteva ancora nel coltivare la tua immagine sovversiva, da qui la scelta di una frasettina ben piazzata. La frase è detta; se passa, è tutto abbastanza vivace da non far sospettare che tu ti sia rammollito, se non passa, allora è lo scandalo: Gordard è sempre Godard, ecc.
Tutto va come previsto, la trasmissione non passa, tu resti sul tuo piedistallo. Nessuno si accorge che la frase è un’altra bugia. Se Pompidou mette in scena la Francia, tu tartassi il partito comunista e i sindacati, usando i modi (troppo diretti per le “masse”) della perifrasi, dell’antifrasi, della derisione, e questo in Crepa padrone, film destinato in partenza alla più ampia diffusione.
Se all’epoca io non ho voluto partecipare al dibattito su Fahrenheit, è stato per tentare di aiutare Janine, non per solidarietà con te, perciò non ho richiamato dopo la tua telefonata in quel perido.
Capita poi che il mese successivo Janine fosse all’ospedale, perché si era fatta investire da un’automobile durante la sua ultima trasmissione, operazione al ginocchio (zoppicava da quando era giovane, ecc.) e stava lì, all’ospedale, senza lavoro, senza soldi e naturalmente senza notizie di Godard che scende dal suo piedistallo solo di tanto in tanto per far divertire Rassam. Allora, ti posso dire: più tu ami le masse, più io amo Jean-Piere Léaud, Janine Bazin, Patricia Finly (esce dalla cura del sonno, lei, e bisogna fare pressioni sulla Cinémathèque per farle avere i suoi sei mesi di stipendio arretrati), Helen Scott che tu incontri in aeroporto e a cui non rivolgi nemmeno la parola, perché, perché è americana o perché è mia amica? Comportamento di merda. Una ragazza della BBC ti chiama per farti parlare di cinema politico in una trasmissione su di me, l’avverto in anticipo che rifiuterai, ma tu sai far di meglio, le sbatti la cornetta sul muso prima di lasciarle finire la frase, comportamento elitario, comportamento di merda, come quando accetti di andare a Ginevra, Londra o Milano e poi non ci vai, per stupire, per sorprendere, come Sinatra, come Brando, comportamento di merda sul piedistallo.
Per un certo periodo, dopo il maggio ’68, non si sentiva più parlare di te, salvo voci misteriose: sembra che lavori in fabbrica, ha formato un gruppo, ecc.., poi, un sabato, l’annuncio che parlerai a RTL con Monod. Resto in ufficio per ascoltare, per avere tue notizie in un modo o nell’altro; hai la voce tremante, sembri molto commosso, annunci che girerai un film intitolato La Mort de mon frère dedicato a un lavoratore nero malato che hanno lasciato morire nel seminterrato di una fabbrica di televisori e, ascoltandoti, malgrado il tremito nella voce, capisco che: 1) la storia non è giusta, comunque è truccata; 2) non girerai mai quel film. E mi dico: se quel tipo aveva una famiglia e la famiglia vivesse d’ora in poi nella speranza di vedere il film? Non c’erano parti per Montand lì, né per Jane Fonda, ma per ¼ d’ora tu hai dato l’impressione di “comportarti bene”, come Messmer quando annuncia il diritto di voto a 19 anni. Vendi fumo. Dandy. Sei sempre stato un dandy, quando mandavi un telegramma a De Gaulle per la sua prostata, quando trattavi Braunberger da sporco ebreo al telefono, quando davi a Chauvet del corrotto (perché era l’ultimo a resisterti), dandy quando mischi le cose: Renoir-Verneuil, se no è zuppa è pan bagnato, dandy anche oggi quando pretendi di far vedere la verità sul cinema, quelli che fanno i lavori più oscuri, mal pagati, ecc.
Ma quando facevi preparare una scena, un garage o una boutique, dagli elettricisti e poi arrivavi: “Oggi non ho idee, non si gira”, e quelli lì dovevano sbaraccare, non ti è mai venuto in mente che gli operai si sentivano completamente inutili e disprezzati, come i tecnici del suono che a Pinewood aspettavano invano Brando per tutto il giorno nell’auditorium vuoto?
Perché ti dico queste cose solo adesso e non tre anni fa, o cinque o dieci?
Per sei anni, come tutti quanti, ti ho visto soffrire a causa di (o per) Anna e tutto quel che c’è in te di odioso lo si perdonava perché stavi male.
Sapevo che avevi cercato di farti Liliane Dreyfus (ex-David) dicendole: “François non ti ama più, è innamorato di Marie Dubois che recita nel suo film” e trovavo la cosa pietosa ma commovente, sì, perché no, commovente, al limite! Sapevo che andavi a trovare Braunberger e gli dicevi “Faccia fare a me l’episodio di Rouch, al posto suo” e questo mi pareva… diciamo patetico. Passeggiavo con te su gli Champ-Elysèes e tu mi dicevi: “Sembra che Bébert et l’Omnibus non funzioni, ben gli sta” e io rispondevo “Suvvia, andiamo…”
A Roma mi sono arrabbiato con Moravia quando mi ha proposto di girare Il disprezzo; ero lì con Jeanne a presentare Jules e Jim, il tuo ultimo film non aveva funzionato, Moravia voleva cambiare cavallo.
Per gli stessi motivi di solidarietà con te, mi sono arrabbiato con Melville che non ti perdonava di averlo aiutato a fare Léon Morin prete e cercava di farti del male. A quell’epoca tu umiliavi Jeanne perché ti piaceva farlo o per compiacere Anna (la storia di Eva), tentavi un ridicolo ricatto con Marie-France Pisier. Hai fatto girare in Les Carabiniers Catherine Ribeiro che ti avevo mandato io, e poi ti sei buttato addosso a lei come Charlot sulla sua segretaria ne Il Grande Dittatore (Il paragone non è mio), faccio tutto un elenco per ricordarti di non dimenticare nulla nel tuo film che dice la verità sul cinema e sul sesso. Invece di far vedere il culo di X… e le belle mani di Anne Wiazemsky sul vetro, potresti fare il contrario, adesso che sai che non solo gli uomini, ma anche le donne sono uguali, comprese le attrici. Ogni inquadratura di X… in Week End era una strizzata d’occhio agli amici: questa puttana vuol girare con me, guardate un po’ come la tratto: ci sono le puttane e le ragazze poetiche.
Oggi ti dico tutto questo, perché comunque malgrado il dandysmo offuscato da una punta d’acidità che traspare ancora da alcune tue dichiarazioni, pensavo che fossi cambiato, ma potevo pensarlo prima di leggere la lettera destinata a Jean-Pierre Léaud. Se tu l’avessi chiusa, gliel’avrei data senza leggerla e mi sarebbe dispiaciuto, hai forse voulto darmi una possibilità di non fargliela avere…?
Oggi sei forte, ti si crede forte, non sei più l’innamorato che soffre, tu sei in possesso della verità sulla vita, la politica, l’impegno, il cinema, l’amore, è tutto molto chiaro per te e chiunque la pensi in modo differente è un porco, anche se tu stesso non pensi in giugno la stessa cosa che in aprile. Nel 1973, il tuo prestigio è intatto, vale a dire che quando entri in un ufficio, ti si guarda in faccia per vedere se sei di buon umore o se sia meglio mettersi nell’angolino; talvolta acconsenti a ridere o a sorridere; dài del tu mentre prima davi del lei, ma il tono intimidatorio è sempre quello, e anche l’insulto facile, il terrorismo (che è un modo alternativo di leccare i piedi). Voglio dire che non sono preoccupato per te, a Parigi ci sono ancora tanti giovani fortunati, col complesso di aver avuto la prima macchina a diciott’anni, che saranno felici di pagare il dazio dicendo: “Sono io che produco il prossimo Godard”.
Quando mi hai scritto, alla fine del ’68, per pretendere 8 o 900mila franchi che in realtà non ti dovevo (Dussart stesso era scioccato!) e hai aggiunto: “Ad ogni buon conto non abbiamo più nulla da dirci”, ho preso tutto alla lettera; ti ho spedito la grana e, salvo due momenti di tenerezza (uno su di me infelice in amore, l’altro su di te all’ospedale) ho provato per te soltanto disprezzo, quando ho visto in Vento dell’Est la sequenza: come preparare una bomba Molotov e un anno dopo come ti sei sgonfiato quando ci hanno chiesto di distribuire per la prima volta La Cause du peuple nelle strade…
L’idea che tutti gli uomini sono uguali è teorica per te, tu non la senti davvero, perciò non riesci a voler bene a nessuno, né aiutare nessuno se non buttando qualche biglietto sul tavolo. Un tale, tipo Cavanna, ha scritto: “Bisogna disprezzare i soldi, soprattutto gli spiccioli”, e non ho mai dimenticato come ti sbarazzavi dei centesimi facendoli scivolare dietro gli sgabelli dei bistrot. A differenza tua, io non ho mai pronunciato una sola frase negativa contro di te, sia perché ti attaccavano già stupidamente e in genere per motivi “collaterali” a quelli veri, poi perché ho sempre detestato i litigi tra scrittori o pittori, dubbi regolamenti di conti a mezzo carta stampata, e ancora perché ti ho sempre sentito geloso e invidioso, anche nei tuoi periodi di buona – tu sei supercompetitivo, io quasi per nulla – e infine c’era, da parte mia, dell’ammirazione, ho l’ammirazione facile, lo sai, e la volontà di esserti amico dopo che ti eri rattristato per una frase che avevo detto a Claire Fischer sul cambiamento dei nostri rapporti dopo l’esercito (per me) e la Giamaica (per te). Non faccio mai grandi affermazioni, perché non sono mai tanto sicuro che non sia giusto il contrario, ma se adesso dico che tu sei una merda, è perché vedendo Janine Bazin all’ospedale e la tua lettera a Jean-Pierre Léaud, non ci possono essere dubbi in proposito. Non deliro, non dico che Janine stava in ospedale per colpa tua, ma il fatto che era disoccupata, dopo 10 anni di TV, è direttamente legato a te e non te ne frega niente. Amante di gesti e dichiarazioni spettacolari, altezzoso e perentorio, nel 1973 stai sempre sul tuo piedistallo, indifferente agli altri, incapace di dedicare qualche ora disinteressata per aiutare qualcuno. Tra il tuo interesse per le masse e il tuo narcisismo, non c’è posto per niente e per nessuno. Chi ti ha trattato da genio, qualunque cosa facessi, se non quella famosa gauche elegante che va a da Susan Sontag a Bertolucci, passando per Richard Roud, Alain Jouffroy, Bourseiller, Cournot, e anche se tu sembravi impermeabile alla vanità, per causa loro tu scimmiottavi i grandi uomini: de Gaulle, Malraux, Clouzot, Langlois, alimentavi il tuo mito, rinforzavi il tuo lato più tenebroso, inaccessibile, caratteriale (come direbbe Scott), permettendo al servilismo di prosperare attorno a te. Hai bisogno di recitare una parte e che sia una parte prestigiosa; ho sempre avuto l’impressione che i veri militanti siano come le donne di servizio, lavoro ingrato, quotidiano, necessario. Tu sei come Ursula Andress, un’apparizione di quattro minuti, il tempo di far scatenare i flash, due o tre frasi a sorpresa e via, di ritorno a un comodo mistero. Dalla parte opposta rispetto a te, ci sono i piccoli uomini, da Bazin a Edmond Maire, e poi Sartre, Buñuel, Queneau, Mendès France, Rohmer, Audiberti, che chiedono notizie degli altri, li aiutano a riempire il modulo della previdenza sociale, rispondono alle lettere, hanno in comune una cosa: si dimenticano facilmente di se stessi e si interessano di più di quel che fanno che di quel che sono o di quel che sembrano.
E ora, tutto ciò che è stato scritto, deve poter essere detto, perciò finisco come te: se vuoi parlarne, d’accordo,
“Se io avessi, come te, mancato alle promesse della mia ordinazione, avrei preferito che fosse per l’amore di una donna, piuttosto che per ciò che tu chiami la tua evoluzione intellettuale” (Il diario di un curato di campagna)