Il fascismo è un’ipotesi per domani nell’Italia odierna?
Non mi sento di sostenerlo.
Tuttavia, questa è una risposta insoddisfacente, troppo generica. A differenza dei fondamentalismi che hanno una tavola della legge su cui giurare e su cui misurare la propria fedeltà alla lettera, le ideologie politiche hanno contemporaneamente un tempo, ma poi non esauriscono la loro potenzialità politica e culturale in quel tempo.
Nascono su sensibilità (peraltro nel loro agire danno luogo a forme aggiornate e riformulate di quelle stesse sensibilità da cui traggono origine), ma anche tracciano percorsi per dare forme a quella sensibilità.
Allo stesso tempo, rispondono a bisogni del proprio tempo, ma anche si costruiscono su valori e simboli da cui si distaccano con estrema difficoltà perché leggono quei simboli come lunghe catene del presente al passato ma anche come proiezione nel futuro.
Da questo punto di vista i simboli sono come le reliquie: dicono che si ha una storia, certamente indicano percorsi di continuità nel tempo tra passato e presente (ovvero hanno la funzione di «continuare a riconoscersi dentro una storia») anche se sarebbe troppo meccanico leggerli come «passato che non passa». Lasciare o far cadere un simbolo è possibile, ma a patto di sostituirlo con un altro, con cui costruire un ordine temporale. Ovvero: ridando una diversa fisionomia al passato, articolando una diversa piattaforma nel presente, proponendo di varare una piattaforma di futuro distaccata dal passato cui si riferiva il simbolo abbandonato.
Per andare al punto: Fiamma o non fiamma? Capisco il valore simbolico della domanda, ma non credo che questa battaglia sulla «pulizia simbolica» abbia come effetto possibile né l’evoluzione di una realtà politica in emancipazione (presunta) dal suo passato (che c’è), non foss’altro perché troppo impegnata a godere del consenso nel tempo presente, né la fine delle richieste da parte della parte politica avversa a chiedere esami suppletivi da superare.
Diciamo che quella domanda ha un valore simbolico ed è utile, al più, per far emergere altri aspetti su cui non sarà male, o inutile, prestare attenzione.
La questione che è sulla bocca di molti è: il risultato che potrebbe emergere dalle urne il prossimo 26 settembre, può invertire il senso del discorso pubblico del centenario che si presenterà 4 settimane dopo – ovvero il 28 ottobre 2022 – da “giorno infausto” nella storia dell’Italia contemporanea, a “ispirazione” per l’Italia del XXI secolo?
Non ritengo che ci troveremo di nuovo il fascismo al potere nell’Italia degli anni ’20 del XXI secolo (un secolo dopo) ma questa valutazione non esclude il problema né mi fa propendere per una visione ottimista del nostro futuro politico.
Non lo esclude per la storia culturale e politica dell’Italia del lungo Secondo dopoguerra. A lungo in sede storica Claudio Pavone ha insistito sul rapporto tra fascismo e Italia repubblicana in termini di «continuità». È una suggestione saliente e che deve fare i conti non solo con ciò che rimane di un regime politico, ma anche con le modalità con le quali in Italia si è prodotta la modernizzazione culturale, sociale, e delle forme della politica tra società tradizionale e società di massa, ovvero tra seconda metà del XIX secolo e oggi.
Quella continuità a me pare non tanto, comunque non solo, di apparati, di uomini, di figure o di ruoli, ma anche di forme della politica, di rapporti tra cittadino e sfera pubblica, di strutture dello Stato. Infine di formazione di un immaginario politico.
Ovvero: le categorie culturali che usiamo; l’antipolitica; l’idea di partecipazione come difesa degli interessi propri. Fino a quando «tengo famiglia» e «mi faccio i fatti i miei» continueranno ad essere i due canoni che fondano l’etica pubblica non potremmo pensare di avere maturato un’etica democratica.
Che non ci troveremo di nuovo il fascismo al potere nell’Italia degli anni ’20 del XXI secolo appare ragionevole sostenerlo anche in virtù di una corretta comparazione tra i due scenari. La comparazione in storia non è un fenomeno di «copia e incolla» e dunque ciò che occorre valutare non sono tanto gli elementi di cui possiamo fare a meno, bensì quali siano gli elementi di diversità, e quali invece gli elementi di contiguità che consentono la comparazione. Se il passato non è chiuso e non è definitivamente alle nostre spalle, e quindi può produrre ancora effetti diretti o prendere nuove forme, allora ha senso che noi ci facciamo oggi le domande essenziali.
La prima concerne la trasformazione del rapporto cittadino-Stato e le forme di partecipazione pubblica per individuare quante derivano dall’esperienza fascista e in che forma si mantengono nell’Italia dopo il 1945.
Inoltre è importante individuare quali, tra le forme di modernizzazione che il regime fascista ha impresso alla società italiana e continuano a permeare, e con quale incidenza, il modello industriale, culturale, politico, dell’Italia successiva al 1945.
Non si deve poi trascurare di indagare quali forme della sensibilità, ovvero il contenuto di ciò che identifichiamo con “bene comune”, “identità nazionale”, “comunità nazionale”, “confine”, rispondono al profilo di progetto culturale che si avvia in quel tempo e quanto di esse permane, al netto delle trasformazioni che hanno modificato radicalmente l’Italia a partire dal secondo boom economico che si inaugura in quel tempo.
Infine è importante analizzare il processo di trasformazione che si avvia con la costruzione dello Stato sociale del sistema previdenziale, il concetto di tutela e il sistema di garanzie che prendono avvio durante il ventennio. Il regime fascista crea queste innovazioni in conformità della sua ideologia politica o all’interno di un contesto storico in cui lo Stato sociale è parte dell’agenda generale di tutte le realtà socio-economiche di quel tempo – democratiche, autoritarie, totalitarie (il che rende irrilevante la solita tiritera sul fatto che «anche il fascismo ha fatto cose buone»). Quanto forma l’identità del Fascismo e quanto pesa realmente? Ovvero quanto marca di sé una trasformazione rispetto alla quale non ha né l’esclusiva né l’originalità?
Aggiungo il tema dell’antisemitismo, tema su cui l’estrema destra sostiene di essersi completamente emancipata e dunque di non dover tornare ad esaminarsi. Tema attuale, invece. Non perché dietro l’angolo si profili il camino di un lager, bensì perché il progetto sociale a cui allude la destra riguarda la costruzione di una società con regole distinte a seconda delle appartenenze e delle origini. Emanciparsi da quel linguaggio voleva dire riscrivere il proprio lessico e dare nuovi contenuti culturali, politici, programmatici a parole chiave del proprio vocabolario come: famiglia, diversità, amico/nemico; nazione, integrazione; «capo»; sberleffo/ironia. Da ultimo violenza intesa come dominio del corpo dell’avversario, che non significa solo, od esclusivamente, «sangue», o sterminio, ma allude a e include una visione tra dominatore e dominato, tra cittadino libero e suddito, tra “italiano” e emigrato che ancora oggi è radicata nel linguaggio e nell’immaginario sociale.
Dunque, parzialmente e con molta cautela le categorie di analisi del fascismo ci aiuteranno a capire questo nostro tempo anche se hanno relazione con due ambiti: da una parte il vocabolario proprio delle culture della destra novecentesca soprattutto di quella che ha forgiato l’idea e definito il lemmario, i simboli, che è stata chiamata «rivoluzione conservatrice»; dall’altra la parallela crisi del conservatorismo tradizionale, come ha richiamato di recente, per esempio lo storico Steven Forti. Due temi su cui penso valga la pena di tornare a scrivere prossimamente.
In breve e per concludere, le destre attuali, pur avendo continuità, poi presentano molte novità rispetto a ciò che a lungo abbiamo identificato con «destra neofascista», non solo in Italia, ma anche in Europa.
Per saperne di più
Stefan Breuer, La rivoluzione conservatrice. Il pensiero di destra nella Germania di Weimar, Donzelli, Roma 1995.
Breuer espone in forma sintetica, ma molto informata un panorama delle figure e dei temi essenziali della “destra rivoluzionaria” tedesca tra fine della Prima guerra mondiale e avvento del nazismo”.
Giovanni De Luna (a cura di), Fascismo e storia d’Italia. Un secolo dopo. Temi, narrazioni, fonti, “Annali Fondazione Giangiacomo Feltrinelli”, LVI (in uscita in settembre 2022).
Il testo è composto di venti saggi di storici, semiologi, archivisti, documentaristi, critici letterati, che forbiscono un’indagine sulle culture e la costruzione dell’egemonia, l’economia, la società, le forme del consenso, il rapporto con l’ambiente propri dell’esperienza fascista.
Francesco Filippi, Mussolini ha fatto anche cose buone, Bollati Boringhieri, Torino 2019. Una lettura essenziale per smontare la macchina mitologica della propaganda della nuova destra e rispetto a un mito che ha molta presa anche su un pubblico tradizionalmente di centro e di centro sinistra.
Yasha Mounk, Popolo vs Democrazia. Dalla cittadinanza alla dittatura elettorale, Feltrinelli, Milano 2018.
Le democrazie politiche perdono smalto. Il fascino per i sistemi politici in cui predomina la tirannia delle maggioranze si espande ovunque, anche nelle democrazie politiche tradizionali. Il legame tra liberalismo politico e democrazia non è più indissolubile. La democrazia è ancora una possibilità nel nostro futuro?
Silvana Patriarca, Italianità, La costruzione del carattere nazionale, Laterza, Roma-Bari 2010.
Una indagine su come l’Italia ha raccontato se stessa, come ha costruito le sue giustificazioni, tra Unità d’Italia e modernizzazione compiuta degli anni ’80 del’900 e i suoi lasciti di fronte alle sfide della globalizzazione. In mezzo alcune questioni fondamentali: l’antipolitica, il mito dell’«Italiano bravo», l’idea del «primato» o viceversa della «Cenerentola» (dove la propria condizione è sempre conseguenza” di «cattivi» che «remano contro».
Claudio Pavone, Alle origini della Repubblica. Scritti su fascismo, antifascismo e continuità dello Stato, Bollati Boringhieri, Torino 1995.
Claudio Pavone raccoglie in questo libro gli scritti fondamentali che ha dedicato a ciò che avviene il passaggio fascismo/Resistenza/nuovo assetto costituzionale. Una riflessione fondamentale per analizzare le costanti della e nella storia nazionale.