A Bangalore, cuore della Silicon valley indiana, gli uffici e i complessi residenziali sono cresciuti più rapidamente della rete idrica, tanto che le condutture trasportano appena il 60 per cento del fabbisogno quotidiano di acqua.
La gran parte del restante 40 per cento è prelevata dai pozzi e consegnata alle case e agli uffici da una flotta di autocisterne private che affollano le strade della metropoli, che ha 12 milioni di abitanti.
Il problema è che i pozzi di Bangalore si stanno prosciugando. Nel 2018 uno studio commissionato dal governo ha previsto che la città – come altri centri urbani indiani, a cominciare da New Delhi – potrebbe restare senz’acqua già nel 2020 a causa dell’esaurimento delle falde. Secondo il rapporto, entro il 2030 metà della popolazione dell’India (ovvero circa settecento milioni di persone) potrebbe non avere acqua potabile a sufficienza.
L’acqua sta diventando una risorsa pericolosamente rara in tutto il mondo, e questa situazione alimenta la corsa per assicurarsi una fornitura stabile e i timori per l’aumento delle vittime nei conflitti legati alla carenza idrica.
Risorse e conflitti
Secondo i dati delle Nazioni Unite, oggi due miliardi di persone, circa un quarto della popolazione mondiale, consumano acqua a un ritmo di gran lunga superiore a quello con cui la risorsa si rigenera.
Nel 2015 i 193 paesi dell’Onu hanno concordato una serie di nuovi obiettivi per lo sviluppo, tra cui anche quello di garantire a tutti l’accesso sicuro ed economico all’acqua potabile entro il 2030. Ma in Africa e in Medio Oriente “i grandi fiumi si stanno prosciugando, la popolazione aumenta, la domanda cresce di pari passo e non riusciamo a rifornire le persone di acqua e cibo”, sottolinea il generale Tom Middendorp, ex capo delle forze armate olandesi.
Secondo una cronologia curata dal Pacific institute, specializzato nell’analisi dell’approvvigionamento idrico, al livello globale il numero di conflitti legati alla carenza d’acqua è passato da 16 negli anni novanta a circa 73 negli ultimi cinque anni.
Secondo i ricercatori è probabile che nei prossimi decenni la carenza idrica provochi un ulteriore aumento del numero delle vittime, mentre gli agricoltori faticheranno sempre di più a procurarsi l’acqua di cui hanno bisogno per irrigare i campi, e le persone saranno costrette ad affidarsi a risorse idriche non sicure dal punto vista igienico per placare la sete.
Nuovi modi di pensare
Oltre ad alimentare i conflitti, la carenza d’acqua ha innescato una rivalutazione generale del modo in cui le risorse idriche sono gestite, condivise e utilizzate in tutto il mondo.
Nella zona occidentale degli Stati Uniti le dispute legali – incluse quelle con le popolazioni native – potrebbero rimodellare i vecchi sistemi di attribuzione delle risorse che garantiscono ad alcuni agricoltori e amministrazioni comunali un approvvigionamento illimitato, penalizzando altri utenti e più in generale l’ecosistema.
Gli Stati Uniti hanno bisogno di leggi “che riflettano le necessità e i desideri di oggi, non di regole in vigore da 150 anni”, spiega Bob Anderson, direttore del Centro legale per i nativi americani dell’università di Washington.
Le amministrazioni delle città più “assetate”, da Singapore a Los Angeles, temono che le risorse idriche possano diventare insufficienti e stanno sperimentando metodi innovativi per ridurre la domanda di acqua e trovare nuove fonti di approvvigionamento.
Singapore, per esempio, ha eretto un muro in una baia, trasformando gradualmente l’acqua salata del mare in un nuovo bacino d’acqua dolce, utile per rifornire una città che oggi dipende dalla vicina Malaysia per gran parte dell’approvvigionamento idrico. “È fondamentale essere indipendenti da un punto di vista idrico”, sottolinea Adam Reutens-Tan, residente a Singapore, la cui famiglia ha ridotto il consumo di acqua cucinando i pasti in un’unica pentola e imponendosi docce di cinque minuti.
Los Angeles, dopo aver costruito le sue fortune sull’acqua dei lontani fiumi Owens e Colorado, ora sta cercando di raccogliere quella dei temporali e in generale della pioggia per ripristinare le falde acquifere in un momento in cui il cambiamento climatico e la concorrenza stanno sovraccaricando il vecchio sistema di approvvigionamento. L’amministrazione comunale, inoltre, ha deciso di pagare i residenti che rimuovono i prati che necessitano di grandi quantità d’acqua. “Considerando il futuro e la possibilità di garantirci una sostenibilità idrica, abbiamo capito di dover agire sul nostro territorio”, spiega Rich Harasick, direttore del dipartimento idroelettrico del comune.
Nelle aree caratterizzate dalla siccità i confitti per assicurarsi le risorse limitate sono in aumento
Nell’Africa australe, un’area sempre più secca, nel 2017 la carenza d’acqua ha spinto l’amministrazione comunale di Città del Capo, in Sudafrica, a lanciare un conto alla rovescia pubblico verso il “giorno zero” in cui i rubinetti rischiano di chiudersi.
La minaccia ha spinto i residenti della città a creare una campagna per ridurre il consumo idrico. Attualmente l’amministrazione comunale sta modificando il piano di approvvigionamento, creando nuovi pozzi e impianti di desalinizzazione.
Nelle aree rurali del Sudafrica gli abitanti dei villaggi cercano di combattere la carenza d’acqua sperimentando nuove colture in grado di sopravvivere alla siccità, oltre che nuovi metodi per trattenere e conservare l’acqua piovana.
Sulle tavole di KwaMusi e altri villaggi vicini, la tradizionale ricetta del porridge di granturco è stata sostituita da pietanze a base di fagioli e amaranto, resistenti alla siccità e coltivati in campi irrigati “a goccia”.
Le cisterne per la raccolta delle acque piovane sono posizionate sotto le estremità dei tetti di lamiera e sempre più spesso servono pompe per annaffiare i campi, in un continente con uno dei più bassi tassi di irrigazione del mondo.
“Questi piccoli cambiamenti permettono alla comunità di avere qualcosa da mangiare e da vendere quando l’acqua scarseggia”, sottolinea Brandon Nthianandham, rappresentante di un fondo per la protezione delle risorse alimentari che aiuta gli agricoltori della regione.
Nelle aree caratterizzate dalla siccità i confitti per assicurarsi le risorse limitate sono in aumento, specialmente alla vigilia della stagione secca.
“A volte, quando vai a prendere l’acqua, trovi altre persone che stanno lì e fanno la guardia. Se ti avvicini rischi di essere picchiato”, spiega Talent Zuma, abitante di Nxamalala, un villaggio nella provincia di KwaZulu-Natal.
“Dicono che la prossima guerra si combatterà per l’acqua, ma qui sembra già cominciata”, aggiunge Zuma.
Metodi alternativi per produrre cibo
Uno dei problemi che ostacolano il tentativo di risolvere le dispute per l’acqua è che molti conflitti coinvolgono contee, villaggi confinanti o addirittura quartieri, e non solo gli stati, tra cui spesso sono in vigore regole per la condivisione delle risorse. “Gli strumenti della diplomazia internazionale non si applicano a questo genere di dispute”, sottolinea Gleick. “Abbiamo pochi mezzi per gestire conflitti violenti tra quartieri, gruppi etnici, agricoltori o pastori”.
In futuro potrebbero aumentare anche gli scontri tra gli stati. Secondo il rapporto Obiettivi per lo sviluppo sostenibile (Sdg) 2018 delle Nazioni unite, che ha analizzato la situazione di 62 paesi sui 153 che condividono risorse idriche, fino al 2017 solo il 60 per cento delle risorse transfrontaliere era coperto da accordi internazionali.
Secondo gli analisti, per affrontare l’aumento della pressione sulle risorse idriche limitate è fondamentale trovare nuovi metodi per produrre più cibo con meno quantità d’acqua.
Sarà fondamentale trovare il modo di ridurre la quantità d’acqua utilizzata per l’agricoltura
Circa il 70 per cento dell’acqua dolce utilizzata ogni anno in tutto il mondo è dedicato all’agricoltura, come riporta l’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura delle Nazioni unite (Fao).
Secondo gli esperti, in un contesto in cui la popolazione mondiale continua a crescere sarà fondamentale trovare il modo di ridurre la quantità d’acqua usata per l’agricoltura e al contempo aumentare la produzione, per evitare un peggioramento della carenza di cibo soprattutto nelle città in costante espansione.
Probabilmente sarà necessario rivedere anche i meccanismi del commercio mondiale degli alimenti, che nella sostanza si riduce al commercio dell’acqua usata per produrre cibo.
Oro verde
Nella provincia cilena di Petorca, tre ore di auto a nord di Santiago, le preziose coltivazioni di avocado hanno trasformato il Cile nel terzo esportatore mondiale del cosiddetto “oro verde”.
Proprio quando le grandi aziende agroalimentari hanno deciso di aumentare la produzione, il cambiamento climatico ha reso più imprevedibili le precipitazioni e aggravato i periodi di siccità.
Questa combinazione ha acuito esponenzialmente la mancanza d’acqua a Petorca, costringendo alcuni residenti a dipendere dalle cisterne per l’acqua potabile e spingendo molti a chiedersi se sia giusto dare ancora la priorità agli avocado da esportazione. “Qui ci sono persone che irrigano gli avocado ogni giorno, mentre noi dobbiamo bere l’acqua di una cisterna e non sappiamo nemmeno se è pulita”, sottolinea Catalina Espinoza, che vive nei pressi delle migliaia di ettari di coltivazioni di avocado.
“È l’idea che ci sia sempre un altro fiume da qualche parte, un altro pozzo da scavare”, sottolinea. “È una mentalità da ventesimo secolo”.
Per produrre una quantità sufficiente di cibo e acqua (e disinnescare i conflitti) servirà un uso molto più intelligente ed efficace delle risorse, che sono limitate. “Dovremo cambiare atteggiamento e avvicinarci a un futuro sostenibile molto più rapidamente di quanto stiamo facendo adesso”, spiega Gleick.
Likith R., titolare di un’azienda che produce le cisterne utilizzate per il rifornimento d’acqua a Bangalore, è d’accordo con Gleick. A causa delle costanti interruzioni di fornitura della rete idrica nella megalopoli indiana, gli affari per Likith vanno a gonfie vele. “Ma come cittadino sono terrorizzato dalla situazione dell’approvvigionamento idrico. Mi spaventa pensarci, perché non ho idea di cosa riserverà il futuro ai nostri figli”.
(Traduzione di Andrea Sparacino)