Di Hai Zi il pubblico italiano conosce poco, manca persino una pagina di Wikipedia che ne parli. Per trovarla, bisogna fare la ricerca in altre lingue. Eppure, Hai Zi è il poeta più conosciuto e venduto della Cina e, per il trentesimo anniversario dalla sua morte volontaria, Del Vecchio Edizioni propone il volume Un uomo felice, nella traduzione di Francesco De Luca.
Un uomo felice ha il testo a fronte e restituisce i profumi e le parole di una terra lontana, spesso ignota al lettore non avveduto, ma tutta da scoprire e da centellinare.
Di Hai Zi, nome d’arte di Zha Haiseng, come si apprende nella breve prefazione al libro, ci sono due immagini: una prima di morire e l’altra dopo la sua morte. La prima è quella di un ragazzo geniale che a soli quindici anni «supera l’esame di ammissione alla prestigiosa Università di Pechino; un giovane poeta che scrive ardentemente, uno non molto conosciuto, il cui percorso di scrittura non è nemmeno compreso e riconosciuto dalla maggioranza dei suoi coetanei». È povero Hai Zi, e la crescente pressione psicologica lo porterà a togliersi la vita, nel 1989, facendosi travolgere da un treno. La seconda immagine è quella dopo la morte in cui la Cina scopre un «poeta geniale, completo, di soli venticinque anni, cantato dalle masse, ammirato, venerato e incoronato». È un simbolo oggi, un simbolo del «sacrificio della civiltà rurale».
Di Un uomo felice sono tante le poesie di cui la mente del lettore s’impregna, restano incagliate, richiedono un tempo maggiore di sedimentazione, richiedono voce alta, mentre restituiscono una sensazione di piacevolezza mista a turbamento. Restituiscono quella sensazione tipica di quando credi di aver compreso una poesia o di aver colto la sua essenza.
Dice Hai Zi in Matrimonio sul mare: «I palmi blu/della baia/sognano relitti e isole/file di alberi maestri/nel vento si amano/e si separano//il vento increspa i tuoi/capelli/una piccola rete bruna/mi copra le guance/non vorrei mai liberarmene//o forse come nelle leggende/noi siamo i primi/due/ad abitare oltre i declivi d’Arabia/in un giardino di mele/serpente e raggi di sole cadono assieme nel torrente/eccoti qui/una luna verde/ti tuffi nella cabina della mia giovane barca». E c’è tutta la storia dell’umanità, il suo ripetersi identico, ma sempre nuovo e altro per chi lo vive per la prima volta. C’è l’intero genere umano intrappolato nella rete bruna, nelle leggende dei giardini soleggiati con meli invitanti. C’è l’essenza di ognuno di noi, come una specie di distillato racchiuso in una goccia salata di mare. La storia degli uomini è la storia dell’uomo e noi tutti siamo un perenne susseguirsi di Adamo ed Eva.
Non descrive solo le radici della civiltà, Hai Zi ridefinisce le parole e i concetti, fornisce il dominio su cui le nostre variabili, le parole, hanno significato. Comprendere quello che è contenuto nella parola è comprendere noi stessi, gli altri e la realtà che ci circonda. Scrive nella poesia Draghi: «la lontananza è là dove non hai nulla» e ci regala così un pensiero che vale la pena di interrogare e di far proprio per ridisegnare i confini del mondo interiore.
Mentre in una poesia datata marzo 1985 dice della pioggia che «è insieme gioia e dolore» cogliendo ancora una volta l’essenza ultima del nostro mondo.
Risale a trent’anni fa, invece, l’ultima poesia racchiusa nel volume Un uomo felice e si intitola Poesia d’offerta e dà la sensazione di un congedo, lascia qualcosa dentro l’animo del lettore, qualcosa di forte e di indelebile: «Si appresta la notte, il fuoco torna lo stesso di diecimila anni fa/fuoco custodito in
Un uomo felice è un regalo di Hai Zi, in ultima analisi, ai lettori, ma è anche un regalo che i lettori possono fare a loro stessi. Definire le parole, comprenderle, cogliere la loro essenza è il primo passo per capire se stessi, e quindi gli altri: nella parola sta il mondo, la sua storia, le sue paure, il suo coraggio.