Abbiamo visto “ Una settimana e un giorno “ regia di Asaph Polonsky.
Con Uri Gavriel, Tomer Kapon, Sharon Alexander, Shai Avivi, Jenya Dodina. Commedia drammatica – Israele 2016 – Parthénos uscita giovedì 18 maggio 2017.
Si può raccontare il lutto più grande che capita a due genitori in maniera tragicomica ? Descrivere vari momenti di una giornata tra comportamenti apparentemente bizzarri e sentimentalismi un po’ ingenui ? Infarcendoli anche di una vena surreale ? Secondo Asaph Polonsky, nato negli Usa ma per anni in Israele e ben addentro ai riti ebraici, sembra proprio di sì. Ambienta la storia in un luogo non-luogo ( soprattutto in una villetta che potrebbe essere ovunque, ma che in realtà è nella periferia di una città israeliana ), si focalizza su due genitori cinquantenni che escono dalla settimana di lutto dello Shiva – la settimana in cui gli ebrei vedono i parenti e gli amici, provano a superare il dolore ed è una pausa dalla vita quotidiana per recuperare le forze e per riiniziare a vivere -. Ma questi sette giorni non sono serviti a Eyal e a sua moglie Vicky per iniziare a elaborare il lutto ma si muovono in questa giornata in modo assai differente l’uno dall’altro, distonico e per certi versi ingenuo: lui si comporta quasi da adolescente imbronciato, gioca a ping pong con dei bambini ed esulta quando li batte, lei invece prova a riprendere la vita di sempre.
Un progetto assai ambizioso, di complessa realizzazione, che al debuttante regista trentenne riesce in parte, in quella più lieve e agrodolce nonostante qualche dispersione narrativa. Creando dei momenti anche divertenti, in cui si sorride e si osserva un film un po’ spiazzante, ma senza mai venire a contatto con quei sentimenti reali che si vivono in queste situazioni. Ma all’estero, da parte della critica, questo film è piaciuto parecchio, è stato pluripremiato in vari festival tra cui al Jerusalem Film Festival e alla Semaine de la Critique a Cannes del 2016.
Eyal Spivak e sua moglie Vicky hanno perso l’unico figlio. Hanno già trascorso la settimana rituale e prevista dalla religione ebraica e riiniziano a vivere la quotidianità. Ma a quanto pare nessuno dei due, in modo differente, vuole accettare la drammatica situazione. Lei sembra quella più lucida e pratica e si reca al cimitero, lui invece ritorna al reparto oncologico dell’ospedale a recuperare una coperta del figlio. Ma invece di trovarla, in un cassetto vede della marjuana per uso medico e se la porta in modo goffo a casa, facendosela sequestrare per qualche attimo dal tassista che vuole più soldi del previsto. Probabilmente per Eyal è un modo per restare in contatto col figlio e cerca di fumarla, ma non sa preparare lo spinello e allora chiama a telefono il figlio di una coppia che vive accanto ( un tempo amici ma adesso li detesta perché continuano a vivere come sempre senza essersi fatti coinvolgere dal suo dolore ) e lavora come pony per un take away di sushi. Paga un’ordinazione non richiesta e col ragazzo inizia a fumare anche davanti alla moglie che ritorna a casa e mentre lei dà una lezione privata a un ragazzino. Per lui Il giorno procede con vari contrattempi come l’ennesimo litigio con l’ex amico-vicino che viene a lamentarsi e a schiaffeggiarlo, ma anche ritorna in ospedale per farsi dare dell’altra marjuana che naturalmente la dottoressa non gli dà; lei invece ritorna a scuola e alla sua classe di bimbi ma trova un supplente ed è costretta a tornare a casa per poi correre dal dentista in ritardo e con cui ha da tempo una visita: forse nell’immobilità e nella solitudine della stanza realizza il suo dolore e chiama il marito per ricordargli delle due tombe che deve prenotare accanto a quella del figlio. E lui, accompagnato sempre dal ragazzo e da una bambina che vive in ospedale per la mamma ricoverata in oncologia – l’unica sempre pronta a sorridere – corre al cimitero, ma le tombe sono state già vendute e non resta al gruppo che assistere a un altro funerale.
Ogni tanto il filo narrativo perde di intensità, qualche scena risulta un po’ scontata e diluita, in alcuni momenti risulta un po’ lento, ma l’umorismo del film funziona in buona parte. Grazie alla bravura quasi straniante di Shal Avivi ( Eyal ), ma anche la madre Jenya Dodina è molto convincente nel suo esausto dolore e nel tollerare qualsiasi bizzarro comportamento del marito. Da segnalare anche l’eterno perdigiorno Tomer Kapon ( il figlio dei vicini ed ex amico del ragazzo morto ) che in una scena infantile e un po’ surreale mima i gesti di un chitarrista, come se l’autore ci volesse dire che ogni tanto bisogna scappare nella fantasia per sopportare meglio la vita.