Mercoledì 4 ottobre alle ore 18 al Circolo dei Lettori di Torino, Pietro Barbetta parlerà dell’odio.
Qui una breve antologia con alcuni dei testi che verranno presentati durante l’incontro.
«L’uomo conobbe sua moglie Eva e lei concepì e partorì Caino, dicendo: “ho guadagnato (qanithi, in Ebraico connesso con Caino) un figlio maschio con l’aiuto del Signore”. Lei poi partorì suo fratello Abele.
Abele divenne custode di pecore e Caino divenne coltivatore del suolo. Nel corso del tempo, Caino portò in offerta al Signore frutti del suolo e Abele, per sua parte, portò le primizie scelte nel suo gregge. Il Signore diede attenzioni all’offerta di Abele, ma a Caino e alle sue offerte Lui non diede attenzioni. Caino era in grande angoscia e il suo volto impallidì. E il signore disse a Caino:
“Perché ti angosci?
E perché il tuo volto è impallidito?
Di certo se agirai nel giusto
Ti risolleverai
Ma se non agisci nel giusto
Il peccato giace alla tua porta;
Urge verso te
Potresti diventarne padrone.”
Caino disse a suo fratello Abele… e quando furono nel campo, Caino assalì suo fratello e lo uccise. Il Signore disse a Caino: “Dov’è tuo fratello Abele?”. E lui rispose: “Non so. Sono il custode di mio fratello?”. Poi Lui disse: “Cos’hai fatto? Ascolta, il sangue di tuo fratello grida davanti a Me dal suolo! Perciò tu sei più maledetto del suolo, che ha aperto la sua bocca per ricevere il sangue di tuo fratello dalle tue mani. Se coltivi il suolo, non ti darà più la sua energia. Dovrai diventare un camminatore senza sosta sulla terra.
E Caino disse al Signore: “La mia pena è troppo grande da sostenere! Se Tu oggi mi hai bandito dal suolo e io devo evitare la Tua presenza e diventare un viaggiatore errante sulla terra – chiunque, se mi incontra, può assassinarmi!”. Il Signore gli disse: “Prometto che, se qualcuno uccide Caino, la vendetta cadrà su di lui sette volte tanto”, e il Signore mise un marchio su Caino, per evitare che, chi lo incontri, possa ucciderlo. Caino lasciò la presenza del Signore per rifugiarsi nella terra di Nod, a Est dell’Eden».
Torah, 4.1-16.
«Un fenomeno d’intensità e durata come l’odio dei popoli per gli Ebrei deve avere naturalmente più di un fondamento. Si può indovinare tutta una serie di ragioni; alcune dedotte palesemente dalla realtà, che non richiedono interpretazione, altre, più profonde, derivano da fonti occulte e si potrebbe dire che sono i motivi specifici. Fra le prime, il rimprovero di essere stranieri al paese è certo la più debole, poiché, in molti luoghi dominati dall’antisemitismo, gli Ebrei appartengono alle parti più antiche della popolazione o addirittura si sono insediati prima degli attuali abitanti. Questo vale per esempio per la città di Colonia, dove gli Ebrei giunsero con i Romani, prima ancora che fosse occupata dai Germani. Altre ragioni dell’odio per gli Ebrei sono più forti, come la circostanza che essi vivono perlopiù come minoranze tra gli altri popoli, poiché il senso comunitario delle masse abbisogna, per essere compiuto, dell’ostilità contro una minoranza estranea, la debolezza numerica di questi esclusi è un invito alla repressione. Assolutamente imperdonabili appaiono però due particolarità degli Ebrei. Innanzitutto il fatto che certi aspetti sono diversi dai popoli che li ospitano. Non fondamentalmente diversi, perché non sono asiatici di razza straniera, come i nemici asseriscono, ma perlopiù i resti di popoli mediterranei ed eredi della civiltà mediterranea. Eppure sono differenti, spesso indefinibilmente differenti, dai popoli nordici soprattutto, e l’intolleranza delle masse si esprime di più contro piccole distinzioni che contro differenze fondamentali. Il secondo punto si fa sentire ancora di più ed è il fatto che essi tengono testa a ogni oppressione, che alle più crudeli persecuzioni non è riuscito di sterminarli, e anzi che mostrano di avere la capacità di affermarsi nel commercio e, laddove sia loro consentito, di dare validi contributi in ogni campo della civiltà.
I motivi più profondi dell’odio radicato per gli Ebrei sono radicati nel passato più remoto, agiscono nell’inconscio dei popoli, e non c’è da stupirsi che sulle prime appaiano incredibili. Arrischio l’affermazione che la gelosia per il popolo che si è spacciato come primogenito e preferito dal Padre divino non è stata superata ancor oggi dagli altri popoli, quasi questi avessero prestato fede a tale pretesa. Inoltre, uno dei costumi per cui gli Ebrei si distinguono, quello della circoncisione, ha fatto un’impressione sgradevole e inquietante, che spiega facilmente, col suo richiamo, alla temuta evirazione; pertanto, riguarda qualcosa da dimenticare, appartiene al passato primordiale. E infine l’ultimo motivo: non dimentichiamoci che tutti questi popoli che oggi eccellono nell’odio contro gli Ebrei sono diventati cristiani solo in epoca storica tarda, spesso spinti da sanguinosa coercizione. Si potrebbe dire che sono tutti “battezzati male” e che sotto una sottile verniciatura di cristianesimo sono rimasti a quello che erano i loro antenati, i quali professavano un barbaro politeismo. Non avendo superato il rancore contro la nuova religione che è stata loro imposta, l’hanno però spostato sulla fonte da donde il cristianesimo è loro pervenuto. Il fatto che i Vangeli narrano una storia che si svolge tra Ebrei e tratta propriamente solo di Ebrei ha facilitato questo spostamento. Il loro odio per gli Ebrei è al fondo odio per i cristiani e non vi è di che meravigliarsi se nella rivoluzione nazionalsocialista tedesca, questa intima relazione tra le due religioni monoteiste trova chiara espressione nel trattamento ostile riservato a entrambe».
S. Freud, L’uomo Mosè e la religione monoteistica, 1934-38.
«Questa libera determinazione si chiama odio. Esso implica una rassegnazione fondamentale: il pre-sé abbandona la sua pretesa di realizzare un’unione con l’altro; rinuncia ad utilizzare l’altro come strumento per recuperare il suo essere-in-sé. Vuole semplicemente ritrovare una libertà senza limiti di fatto; cioè sbarazzarsi del suo essere impercettibile oggetto per l’altro ed abolire la sua dimensione di alienazione. Ciò equivale a proporsi di realizzare un mondo in cui l’altro non esiste. Il per-sé che odia accetta di non essere altro che per-sé; reso cosciente dalle sue diverse esperienze dell’impossibilità in cui è di utilizzare il suo essere-per-altri, preferisce non essere altro che un annullamento libero del suo essere, una totalità de-totalizzata, una ricerca che si assegna da sé i suoi fini. Colui che odia, si propone di non essere più, in nessun modo, oggetto; e l’odio si presenta come una posizione assoluta della libertà del per-sé di fronte all’altro. Questo avviene in primo luogo perché l’odio non abbassa l’oggetto odiato. Perché pone la lotta sul suo vero terreno: ciò che odia nell’altro, non è quella fisionomia, quella particolarità, quella singola azione, ma la sua esistenza in generale, come trascendenza-trascesa. Perché l’odio implica un riconoscimento della libertà dell’altro. Solo che questo riconoscimento è astratto e negativo; l’odio conosce solo l’altro-oggetto, e si attacca all’oggetto. Vuole distruggere proprio quell’oggetto».
J.-P. Sartre, L’essere e il nulla, saggio di ontologia fenomenologica, 1943.
«Il soggetto prova dunque per il suo modello un sentimento lacerante formato dall’unione di due opposti che sono la venerazione la più sottomessa ed il rancore più intenso. È il sentimento che chiamiamo odio. Solo l’essere che ci impedisce di soddisfare un desiderio, che lui stesso ci ha suggerito, è realmente oggetto di odio. Quello che odia si odia inizialmente lui stesso a causa dell’ammirazione segreta che cela il suo odio. Per nascondere agli altri, e nascondere a sé stesso, quest’ammirazione infinita, non vuole vedere altro che un ostacolo nel suo mediatore. Il ruolo secondario di questo mediatore passa dunque in primo piano e dissimula il ruolo primordiale del modello religiosamente imitato».
R. Girard, La rivalità mimetica e l’Islam, intervista a «Le Monde», 5 novembre 2001.