Abbiamo visto “ Uomini senza legge “ ( Hors-la-loi ) diretto da Rachid Bouchareb.
Di orrori del Colonialismo ce ne sono stati tanti, in America Latina, in Asia, in Africa. Decine di milioni di morti, secoli di sofferenze, soprusi e inaccettabili ingiustizie; certo non si può fare una classifica di quale popolo abbia sofferto e subito di più, ma la Guerra d’Algeria è stata un simbolo di tutto questo ( come per l’Indocina lo è stato il Vietnam – entrambi sotto il gioco francese fino agli anni Cinquanta e a Dien Bien Phu). Conosciamo l’orrore di questa guerra di liberazione anche grazie al meraviglioso e ancora moderno film di Gillo Pontecorvo “ La Battaglia d’Algeri “, ritornato di moda perché gli strateghi militari statunitensi lo hanno fatto vedere agli ufficiali all’inizio della Seconda Guerra del Golfo nel 2003. “ Hors-la-loi “ ha naturalmente creato imbarazzo nei soliti ipocriti e conformisti d’Oltralpe; hanno accusato il film di partigianeria e di aver mostrato una violenza inaccettabile. Forse, per qualcuno, iniziare un film raccontando l’uccisione a freddo di 45.000 civili ( anche donne, vecchi e bambini ) nel genocidio di Setif ( 8 maggio 1945 ), nel giorno in cui la Francia festeggiava la fine della Seconda Guerra Mondiale, può sembrare ‘ inopportuno ‘ anche dopo oltre sessantacinque anni: immaginiamo cosa doveva essere all’epoca il problema, lo scontro e la violenza che produceva.
“ Hors-la-loi “ è un film epico che dura due ore e 13 minuti, dal sapore antico, dai molti rimandi ( c’è il cinema di Pontecorvo, ma anche quello di Scorsese e di Di Palma ), quasi il seguito ideale del precedente, “ Days of Glory “ del 2006. Inizia con un efficace prologo nel 1925 e termina con la Liberazione dell’Algeria nel 1962, inizia con inquadrature alla Sergio Leone e in alcuni passaggi successivi il confronto con Pontecorvo diviene naturale. E’ un film naturalmente violento ma mai gratuito, molto intenso e ‘ vero ‘, con un punto di vista interno al popolo algerino, con qualche lentezza e calo di ritmo che tuttavia non appesantisce la visione, e probabilmente la durata del film inizialmente doveva essere maggiore e i tagli hanno creato qualche “ superficialità “ e salto psicologico.
La storia inizia con una premessa, nel 1925 una poverissima famiglia di contadini algerini composta da due genitori e da tre figli adolescenti viene cacciata dalla casa e dalla terra dei loro avi perché non hanno l’atto di proprietà e sono costretti ad andare a vivere a Setif. Li ritroviamo venti anni dopo, nelle strade della città; la famiglia è ancora molto unita ma i tre fratelli sembra che stiano prendendo strade diverse, c’è l’intellettuale ( Sami Bouajila ) schierato con gli indipendentisti, un altro organizza incontri di box e pensa solo a riscattarsi dalla miseria ( Jamel Debbouze ) e il terzo ( Roschdy Zem quello più concreto e umano ma anche più duro e deciso ) si destreggia nella vita come può. E’ l’8 maggio del 1945 e la polizia e i colonialisti francesi iniziano una cieca e barbara repressione uccidendo chiunque si trovi nella direzione delle loro pallottole. Il primo dei figli finisce in carcere in Francia e lo resterà per più di dieci anni, l’altro resta con la madre e decide di abbandonare l’Algeria e andare a cercare fortuna a Parigi, il terzo diviene soldato e si ritrova a combattere in Vietnam, a essere catturato dai vietcong e a prendere anche lui coscienza politica. A metà degli Anni Cinquanta i tre fratelli si ritrovano e vivono con la madre in un ghetto alla periferia di Parigi degni di un racconto di Balzac. Due di loro danno vita all’FLNA clandestino, il terzo invece continua il suo sogno e organizza incontri di pugilato e gestisce per la mala francese un club a Pigalle. Il primo fratello si dedica anima e corpo alla causa rinunciando a una sua vita anche affettiva e diviene un leader riconosciuto; l’altro lo segue ma non perde l’umanità nonostante i morti e il dolore che procura, si sposa ed ha anche un figlio. La storia si sviluppa tra inverni ed estati, tra omicidi e fughe, tra attentati da entrambe le parti e ragioni e sentimenti di tutti i protagonisti.
Un film ‘ fuori tempo ‘ ( che sa di sangue e terra e non di plastica e finzione ) che ci ricorda la storia di pochi decenni fa, che ci fa capire da dove nasce quello che in parte stiamo vivendo oggi, che il tempo non è mai nuovo ma denso di altri tempi, che pur vantandoci della parola Democrazia spesso l’abbiamo dimenticata o tradita.
Rachid Bouchareb è un figlio d’algerini nato a Parigi, appartiene a quella generazione che ha sofferto di una doppia identità culturale ( francese e occidentale, algerina e terzomondista ), sin dal primo film ha affrontato ( “ Baton Rouge – 1985 ) le tematiche dell’immigrazione, della diversità culturale, della sofferenza degli ultimi, e ha trovato sempre una chiave originale alle storie che ha voluto raccontare come nel precedente “ London River “ ( ndr, recensito nell’autunno scorso ). Adesso ha fatto un film importante, un colossal, che speriamo non gli faccia perdere la direzione che ha sempre avuto, ha scelto i suoi attori che hanno confermato tutta la loro bravura e ha realizzato un film che è stato candidato all’Oscar come migliore film straniero.