Sulla spiaggia di Fontania, là dove un tempo cresceva il suo pesco, oggi c’è un melograno. Era al riparo della sua ombra che, d’estate, Goliarda Sapienza soleva mettere il suo lettino, in quell’angolo di destra guardando il mare, descritto dalle vestigia possenti e poderose dell’approdo della villa del senatore romano Gneo Fonteo, attanagliata a quella scogliera fin dal I secolo a.C.

Goliarda amava anche nuotare sopra le vasche secolari scavate nel fondale roccioso, oggi completamente sommerse ma anticamente a pelo d’acqua e destinate all’allevamento dei pesci, dette, in latino, piscine, che hanno nobili emule a Sperlonga nella Villa dell’imperatore Tiberio. Ed era lì, sulla spiaggia di Fontania, dove lo splendore della natura incontra la storia, che Goliarda entrava in sintonia con la scrittura e con essa si fondeva.

“Arrivava sempre vestita con un abito lungo fino ai piedi, il cappello di paglia in testa e la borsa a tracolla” racconta il gestore di quel lido, Giuseppe Valente, della cui famiglia la scrittrice siciliana fu intima amica nei suoi anni gaetani. “Scendeva sulla spiaggia, apriva il suo lettino e vi si sedeva in punta, proprio sul bordo. Non si sdraiava mai. Guardava il mare e fumava Muratti Ambassador. Per minuti e minuti fissava un punto lontano, poi, all’improvviso, estraeva i fogli dalla sua borsa e iniziava a scrivere.”

“Amava nuotare” ricorda un altro suo amico gaetano, Ruggiero Di Lollo “e spesso andava ai Cani, degli scogli appuntiti affioranti appena dall’acqua, dove lei si sdraiava a dormire cullata dal suono del mare. [NdA: Nei Taccuini, ironicamente chiama uno di questi, il più piatto, solarium.] Quando tornava era fresca e un po’ imbambolata come una bambina appena svegliata.”

A proposito di scoglio, così ne ha scritto lei stessa in L’arte della gioia, menzionandone uno, caro alla protagonista del romanzo:

Riversa sullo scoglio, Modesta osserva come i suoi sensi maturati possano contenere senza fragili paure d’infanzia tutto l’azzurro, il vento, la distanza.

Ed era quello che la stessa Goliarda provava.

Ma dagli scogli di Gaeta le piaceva anche tuffarsi. Si narra di come li risalisse, arrampicandosi, su, su, fino a venti metri dalla superficie del mare, per poi lanciarsi nel vuoto.

Chissà se quei tuffi non fossero metafora di quello, arditissimo e coraggioso, che stava facendo nello scrivere, proprio a Gaeta, il suo capolavoro, L’arte della gioia?
jGaeta. A sinistra: la spiaggia di Fontania con i ruderi della villa del console romano Gneo Fonteo, I sec. a.C. A destra: uno scorcio di Via Indipendenza dove Goliarda abitava.

Da lei iniziato nel 1967 e concluso nel 1976, la prima delle quattro parti di cui è composto il romanzo l’Arte della gioia è stata pubblicata nella collana Eretica di Stampa Alternativa soltanto nel 1994 a spese del suo giovane marito, Angelo Pellegrino, mentre la versione integrale è uscita nel 1998, due anni dopo la morte della sua autrice, sempre presso Stampa Alternativa, perché le grandi case editrici avevano rifiutato di darlo alle stampe giudicandolo impubblicabile. Angelo riuscirà a farlo stampare in Germania (2005/2013) e in Francia (2005), dove farà registrare un grande successo di pubblico, soprattutto femminile. È un passaparola fra donne a decretarne il trionfo, dopo il quale, il romanzo è stato finalmente edito in Italia, nel 2008 da Einaudi e nel 2009 da Mondadori. Ed è stato subito un best seller, purtroppo dopo ben 32 anni dalla fine della sua stesura e 12 dalla morte della sua autrice.

Oggi L’arte della gioia è tradotta in molte lingue e pubblicata in numerosi paesi del mondo.

Per celebrare il centesimo compleanno di Goliarda Sapienza, ne è stata realizzata una riduzione cinematografica scritta, tra gli altri, da Valeria Golino e da lei diretta. La Golino era stata allieva di Goliarda; nel 1986, per due mesi e con cadenza regolare si era infatti recata a prendere lezioni di recitazione da lei, nella sua casa ai Parioli, su richiesta di Francesco Maselli, prima di affrontare le riprese del film da lui diretto, Storia d’amore, di cui era la protagonista. Tra le due artiste, nonostante le differenze di età e di carattere, si era stabilita fin da subito una perfetta intesa.

Chissà, forse è proprio grazie agli insegnamenti di Goliarda, oltre, ovviamente, alla bravura della Golino, se quest’ultima ha vinto con quella interpretazione il David di Donatello come migliore attrice protagonista.

D’altra parte, come ha scritto Goliarda: Non si insegna nulla a chi non ha fame, al contrario chi ha fame di sapere prende a piene mani senza chiedere permessi né provare vergogna. (Goliarda Sapienza, Taccuini)

Ed è ricordando la frequentazione di Goliarda, che pare le avesse detto allora: Saresti la mia Modesta perfetta (ma Valeria a quel tempo, non capiva, non sapeva, visto che il libro non era ancora stato pubblicato; guarda qui) se l’attrice-regista ha deciso di raccogliere quella eredità morale ponendo mano all’ardua impresa di trasporre quel difficilissimo romanzo nel linguaggio cinematografico.

Il suo film, presentato al Festival di Cannes, è stato proiettato nelle sale il 30 maggio e il 15 giugno di quest’anno e andrà in onda come serie su Sky che l’ha prodotto insieme a Viola Prestieri per HT Film.

Non sempre un film tratto da un libro convince, ma questo della Golino ci riesce, ci riesce eccome. Fedele al testo, senza essere pedissequo, è filmicamente creativo, con regia, recitazione, scenografia e fotografia (di Fabio Cianchetti) avvincenti.

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Ma tornando a Gaeta, dalla metà degli anni settanta Goliarda Sapienza aveva preso l’abitudine di trascorrervi le primavere e le estati, nel piccolo appartamento che il marito aveva in via Indipendenza, nel cuore pulsante e popolare della città di mare, in quella strada allora abitata dai pescatori.

Chi ha frequentato quella casa l’ha descritta raggiungibile dalla strada per mezzo di un’erta scala, con i soffitti a volta corrosi dalla salsedine del mare assai prossimo. Piccola, invasa dalle carte, traboccanti persino dai bauli, i posaceneri stracolmi di mozziconi di sigarette, ma con un terrazzo sul tetto affacciato al mare.

“Su quel terrazzo organizzavamo cene stupende” ha scritto Di Lollo. “Goliarda diceva che casa più comoda di quella non esisteva perché nella strada sotto vi erano le donne che vendevano i prodotti genuini delle loro terre, c’erano i venditori di vino, panettieri, fruttivendoli, pesce fresco, diceva che in quella casa poteva anche non esserci il frigorifero perché sotto c’era tutto fresco ogni giorno. La cosa più importante per lei era avere il bar, il tabaccaio e il cinema a quattro passi, il triangolo di Goliarda.”

I gaetani che hanno conosciuto Goliarda Sapienza raccontano di come la mattina, mentre andava verso quello che lei definiva ‘il suo ufficio’, le piacesse indugiare ad ascoltare le chiacchiere delle contadine che, scese dalle zone rurali limitrofe, allestivano le loro bancarelle di frutta e di ortaggi agli angoli di quella via che sembra un pezzo di Amalfi incastonato lungo il mare di Gaeta.

O forse son tutte così le antiche stradine delle Repubbliche Marinare.

Via Indipendenza sfocia in Piazza della Libertà, dove si trova il mitico bar La Triestina: era lì che Goliarda teneva ‘il suo ufficio’. In uno dei suoi Taccuini, quasi tutti scritti proprio alla Triestina, l’ha definita: rifugio mondano […] di feste solitarie. (Taccuini)

“La Triestina era come un’oasi nel deserto” ha scritto Angelo Pellegrino “un’oasi anche notturna. Si potevano comprare le ultime sigarette, bere il bicchiere della staffa e mangiare qualcosa, dai gelati ai dolci, alla tavola calda, tutto preparato ancora artigianalmente dai proprietari che Goliarda conosceva bene e le facevano anche credito. Alla Triestina poi approdavano gli ultimi disperati nottambuli, quelli che comunque la natura fa esistere anche dove la notte serve solo per dormire. Era con questi che spesso la trovavo immersa in estenuanti conversazioni da cui a volte non sapeva più come uscire. […] La Triestina, negli ultimi tempi era diventata la sua casa, incontrava lì tutto quello che era possibile incontrare a Gaeta, dall’ammiraglio in pensione al poeta alcolizzato, a Rosa, la mascherina del cinema Ariston, figlia di nessuno che era stata abbandonata in un albergo chiusa in una valigia (in cambio dell’ascolto profondo prestato da Goliarda ai suoi casi personali, la faceva entrare gratis al cinema tutte le volte che voleva).”

La stessa Goliarda ha dichiarato in un’intervista di come la Triestina fosse ‘il suo ufficio” di quand’era a Gaeta, lì, la mattina, si sedeva a un tavolino, leggeva il giornale, beveva caffè, fumava mille sigarette e scriveva, scriveva. Sempre e solo a mano.

Angelo Pellegrino, nella sua prefazione all’Arte della gioia di Einaudi, così racconta:

“Scriveva sempre su comuni fogli di carta extrastrong piegati in due perché, diceva, questo formato ridotto le consentiva una sua idea di misura. […]

Goliarda scriveva sempre a mano, diceva che aveva bisogno di sentire l’emozione nel battito del polso, servendosi di una semplice Bic nero-china a punta sottile. Ne consumava decine semplicemente perché le disseminava dappertutto e poi non le trovava più.”
jGaeta, interno del bar La Triestina, che Goliarda Sapienza considerava il proprio ‘ufficio’, con un suo ritratto appeso alla parete; Piazza Goliarda Sapienza.

A voler dar retta alla tradizione orale e alle memorie scritte, se ne dedurrebbe che Goliarda, almeno quand’era a Gaeta, per scrivere avesse sempre necessità di un sottofondo sonoro: lo sciabordio delle onde e il garrire dei gabbiani a Fontania o il vocio della gente e i rumori della strada e del traffico alla Triestina. Nulla a che fare, dunque, per lei, lì, con lo stereotipo dello scrittore rinserrato in una torre d’avorio silenziosa e romita, ma un corpo a corpo con il pulsare della vita.

Frequentava assiduamente anche il pub Hermes, il locale più ‘americano’ della città, ritrovo di tutti i nostalgici della beat generation, e pure La Francese, un altro bar, oggi molto trendy, nella zona del porto turistico, ma allora “un bugigattolo fumoso e umido all’estrema punta del promontorio” scrive Angelo Pellegrino “dove andavamo spesso per lavorare all’Arte della gioia. Goliarda parlava con la proprietaria del bar, Marie, una vera francese della Borgogna, pallida e delicata, di cui tutti erano innamorati, finita chissà come sposata a un gaetano.”

Era anche assidua del bar Fiona. Così ne scrive Angelo “Al Fiona’s Bar, lei irlandese sposata a uno del posto, due vecchi hippie già vent’anni fa, in certe sere di allegra disperazione ci andavamo a bere sino a notte fonda e a buttare il nostro tempo che non voleva nessuno. […] Pizza e birra e nient’altro, frequentato dai marinai dell’US Navy di stanza con la loro grande nave da guerra, ininterrottamente alla fonda nelle acque di questo paese come a casa propria.”

E Angelo ancora racconta di come ad essere frequentato dagli americani fosse anche il pub Charlie’s, dove Goliarda amava andare “per studiare la gente di quel Paese che era stato tanto importante per quelli della sua generazione: i liberatori, i portatori della pace, i prodotti di una vera democrazia che in Italia pochissimi sapevano che cosa fosse veramente.”

In America, Goliarda avrebbe tanto desiderato andarci, ma non le fu mai concesso il visto a causa dei suoi trascorsi politici.

Nei suoi bar preferiti, Goliarda Sapienza si tratteneva spesso anche da sola, a bere caffè, a fumare come una turca (diceva di sé stessa di essere come un vaso antico tenuto insieme dalla nicotina) e a scrivere. Negli anni settanta, non erano molte le donne italiane (a differenza delle nord europee e delle americane) che avevano il coraggio di starsene sedute al bar da sole anche di notte, a fumare e magari a bere vino. Per questo Goliarda era guardata con diffidenza dai locali, se non, addirittura, con riprovazione. E non parliamo poi del fatto che lì addirittura scrivesse! Una autentica sfida sociale la sua! Una potente affermazione di sé, quella di un’aliena, nel senso etimologico da alius, ovvero di altro, di chi appartiene ad un’altra dimensione storica (una del futuro), a un altro modo di pensare, di essere, di vivere, di scrivere. Una sfida, quella di “questa grande scrittrice che con i suoi libri e la sua vita è stata in un tempo altro, un altrove temporale sbalzato in avanti di qualche decennio: sia con il grande romanzo, sia con i romanzi in forma di autobiografia analitica, soprattutto con le poesie e con i taccuini. […]

[Goliarda] fa saltare tutti i denti delle ruote dell’ingranaggio dentro il quale la società la vuole, in tal modo fa girare la sua vita secondo un ingranaggio tutto proprio.” (Anna Toscano)

Come Modesta, la protagonista di L’arte della gioia, anche Goliarda, era una personaggia tosta, una carusa potente che, come si può dedurre dalle sue assidue frequentazioni, i bar li amava moltissimo, al punto da aver loro dedicato alcune pagine, poi raccolte da Angelo in un libro, che, parafrasando il famoso titolo di quello di Erasmo da Rotterdam, ha voluto chiamare Elogio del bar (Elliot, 2014)

Eccone un paio di passi:

Quasi tutte le mattine, che possono allungarsi anche fin verso le due e le tre, non le mattine classiche da orologio, comprendono una sosta al bar. […]

Mi sveglio presto, finalmente. Il mattino a Gaeta è bellissimo. Ciondolo nella cucina: il mattino è bello proprio quando si può ciondolare intorno a un caffè e due sigarette. Faccio colazione con sola frutta, poi vado al mare anche se ci sono un po’ di nuvole. Non c’è nessuno, come ai vecchi tempi, e i colori dei fiori col nuvolo si accendono elettrici. Sembra che tra gli scogli vaghino gli spiriti.
jGoliarda Sapienza e Angelo Pellegrino. Copertina del libro che Angelo le ha dedicato.

Angelo Pellegrino aveva 23 anni meno di Goliarda. Il loro amore ha sfidato ogni pregiudizio. Così ne ha scritto lui stesso: “C’era solo un precedente, ma molto remoto: la relazione fra Sibilla Aleramo e Franco Matacotta, 40 anni più giovane di lei. Avevamo un’intesa profonda sulla vita, una consonanza di idee in parte isolana. Io sono originario di Palermo, Goliarda era di Catania, ci univa l’amore per la mediterraneità in genere. […] A nostro modo non eravamo che una sorta di coppia a delinquere, la più solida società affettiva possibile fra due sessi diversi.”

Angelo ha raccontato la loro storia d’amore nel libro Goliarda, pubblicato da Einaudi nel 2022. Senza di lui, senza il loro amore, non avremmo mai potuto leggere L’Arte della gioia, il capolavoro di Goliarda Sapienza e forse uno dei libri più belli del nostro novecento.

Insieme alla scrittura, ai bagni di mare, alle gite a Palmarola (isola che amava moltissimo), all’assidua frequentazione del cinema Ariston (in Piazza della Libertà come la Triestina), alle cene tra amici (“Era fiera di aver ereditato l’arte della cucina dalla madre, la rivoluzionaria Maria Giudice che quando fu esule in Svizzera ebbe spesso a cena, oltre alla sua cara amica Angelica Balabanoff, anche Lenin e Mussolini che pare fossero appassionati dei suoi manicaretti”, Pellegrino) e al suo bazzicare i bar, le sue stagioni gaetane hanno avuto pure un risvolto mondano e intellettuale, gravitante attorno alla figura del pittore e scultore Ruggiero di Lollo, amico sia di lei che di suo marito. Ed è proprio Di Lollo che ce la racconta nel suo libro intitolato Goliarda Sapienza. La mia Goliarda, uscito lo scorso anno da Caramanica Editore.

Di Lollo conosce Goliarda nel 1975, che gli viene presentata dal collega Angelo Pellegrino, come lui allora insegnante al Liceo scientifico di Gaeta. Così ricorda:

“Era il periodo in cui Goliarda scriveva l’Arte della gioia, che le impiegò dieci anni di lavoro, e quando poteva preferiva scrivere qui a Gaeta. Diventò un’abitudine, dopo una giornata di lavoro, veniva ogni sera a piedi da via Indipendenza fino a casa mia a Fontania per leggermi quello che aveva scritto, o per farmene in sintesi il racconto e io le facevo vedere quello che avevo dipinto. […] Qualche volta, per svagare la mente, mi chiedeva di giocare a carte e il suo gioco preferito era la scopa.”

Per anni, nelle serate estive gaetane, questo triumvirato della cultura (Di Lollo, Pellegrino, Sapienza) ha anche organizzato indimenticati incontri di musica, di poesia e di cinema nella piazzetta che si apre su via Indipendenza, da poco intitolata al nome della scrittrice.

Goliarda amava molto Gaeta, ecco cosa ne ha scritto nei Taccuini:

l’humus che muove questa cittadina è di un’eleganza incredibile.

Così racconta, infine, Angelo Pellegrino: “Quand’era a Gaeta […] dopo aver fatto spesa nei vicoli di Elena [NdA: nel 1897 il borgo, separatosi dal resto della città, era diventato comune autonomo con il nome dell’allora principessa Elena, futura regina d’Italia. Si sarebbe ricongiunto al comune principale nel 1927], un antico borgo marinaro, dove era la mia casa, e aver scambiato le solite quattro chiacchiere con le vecchie paesane sedute negli angoli dei vicoli a vendere i propri ortaggi, che Goliarda sceglieva uno a uno, raggiungeva a piedi la scogliera di Fontania appena fuori del paese, dove ogni volta realizzava il suo connubio panteista col mare e la pietra. Ovunque la portassi, scogliera, rupe o sito archeologico, s’addormentava sulla pietra. Per prendere forza, diceva, e comprendere meglio il luogo. Poi amava tuffarsi, lo faceva anche dall’altezza di 20 metri, riuscì a farlo anche durante i periodi di depressione, per lei tuffarsi era il costante rapporto con l’infanzia che tutti gli artisti mantengono. Imparò a farlo da bambina dagli scogli di lava sotto l’arco della ferrovia a Catania, continuò a tuffarsi anche dopo che a 7 anni si ferì la fronte: un ragazzaccio aveva fatto il brutto scherzo di spostare i massi sul fondo dove lei abitualmente si tuffava. Una piccola cicatrice sulla fronte le rimase per sempre.

Andavamo spesso a Gaeta, in ogni stagione, appena era minimamente possibile. Erano delle vere e proprie fughe da Roma dove lavorare era diventato per noi quasi impossibile a causa del rumore, l’inquinamento e varia alienazione, ma anche perché a Gaeta ritrovavamo buona parte della temperie mediterranea delle nostre origini, che ci accomunò sempre. Dal 1975, anno del nostro incontro, Gaeta per Goliarda fu come il ritorno di Positano [NdA: luogo di mare che aveva molto amato] in un altrove ancora più facile da raggiungere, dove la vita era più semplice, ariosa e serena e il mare sempre presente da ogni parte, oltre alla luce di viola, il vento e i gabbiani.”

Gaeta, 30 agosto 1996

“In quella casa [di Gaeta] io e Iuzza [NdA: il vezzeggiativo con cui, da bambina, i suoi familiari chiamavano Goliarda] avevamo vissuto innumerevoli anni” scrive ancora Angelo Pellegrino. “Il suo grande libro era stato portato a termine lì, una mattina di ottobre di una vita fa. In quella casa era morta, sola, mentre ero lontano, e fu trovata tre giorni dopo riversa in fondo a quelle scale che stava scendendo al suo solito elegante, il vestito a fiori, l’ampio cappello di paglia, l’allegra borsa di stoffa a tracolla, per andare a procurarsi le sue adorate Muratti Ambassador, ormai ultimo filo di energia che la teneva in vita.

Gaeta, la sua città d’elezione, in cui Goliarda Sapienza ha trascorso le ultime ventisei estati della sua vita e dove è spirata in solitudine, accoglie nel suo camposanto le sue spoglie mortali. Sulla lapide, nessuna fotografia, ma lo stemma bianco e rosso del Comune e un epitaffio:

Goliarda Sapienza (Catania 1924 – Gaeta 1996)
Scrittrice, attrice.
Voce libera, innamorata di Gaeta.

“Se la volete cercare la trovate nel cimitero di Gaeta, non è facile scovarla, vi avviso: nessuna indicazione, nessuna foto nessun portafiori, solo fessure intorno al marmo in cui qualche lettrice o lettore in visita infila biglietti con messaggi segreti.

Quando varcate il grande cancello molte ne vedrete, non ci sono mappe o numeri, né sbarre o chiavi, basta ascoltare, voltare lo sguardo e camminare piano. Si farà trovare, lei incontra sempre volentieri le care altre e i cari altri.” (Anna Toscano)

Gaeta, nel 2020 le ha dedicato la piazza che si apre su via Indipendenza, prossima alla casa dove lei ha abitato. “Quella targa bianca e gelida col suo nome è una testimonianza del suo passaggio in questo slargo ancora uguale, da noi attraversato infinite volte, un tempo tutto occupato da banchi di frutta e verdura, ora ripulito e lucido come uno specchio. È rimasto solo un nome al posto del suo corpo agile e svelto, un nome seguito da quella parola, scrittrice, una sola parola per tutta una vita di letteratura. Ora non c’è più il mercato, non più voci tra frutta e verdure che facevano un fresco giardino di quel vecchio slargo ormai innalzato a vezzosa piazzetta con la targa di marmo in bella mostra.” (Angelo Pellegrino)

Oggi, lì, grandi panchine a forma di libro aperto invitano alla lettura.

Gaeta, la sera del 10 maggio 2024, quella del suo centesimo compleanno, lo ha celebrato sulla spiaggia di Fontania gestita dal suo amico Giuseppe Valente, la sua spiaggia affacciata al suo mare, con una festa di parole e musica: le sue parole declamate da Chiara Di Macco e Sabina Mitrano e cantate dalla voce ‘mariniana’ di Valentina Ferraiuolo, con Domenico De Luca alla chitarra.

E l’emozione è stata fortissima.

Non sapevo che il buio
non è nero
che il giorno
non è bianco
che la luce
acceca
e il fermarsi è correre
ancora
di più.

(Goliarda Sapienza, Ancestrale)

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